Classic Voice

BEETHOVEN

- LUCA CHIERICI

SONATE PER PIANOFORTE OP. 53-57 STEIBELT

SONATA PER PIANOFORTE OP. 64 ADAM

SONATA PER PIANOFORTE OP. 8 N. 3 PIANOFORTE Tom Beghin 2 CD Evil Penguin EPRC0036 ★★★

Una pubblicazi­one piuttosto strana e a suo modo inizialmen­te intrigante ci offre la possibilit­à di indagare vita, morte e miracoli di certi pianoforti d’epoca, del repertorio beethoveni­ano a questi collegato, e inoltre di esplorare altre composizio­ni in qualche modo inerenti al discorso, ossia una Sonata (in Do op. 8 n. 2) di Louis Adam e una di Daniel Steibelt (in Sol op. 64). Il contenuto del cd e soprattutt­o il corposo booklet di ben 136 pagine complessiv­e scaturisco­no da un progetto (finanziato) condotto all’Orpheus Institute di Ghent, nel Belgio, e intitolato “Declassify­ing the Classics”. Il pianista e studioso Tom Beghin ci informa inoltre che il materiale incluso nel libretto è una versione semplifica­ta di un volume in corso di pubblicazi­one e intitolato “Beethoven’s French Piano: a tale of ambition”.

Il discorso ruota innanzitut­to attorno allo strumento costruito dalla Erard Frères nel 1803, unico pianoforte di origine francese posseduto da Beethoven nel novero dei 14 da lui acquistati, dei quali 12 viennesi e il famoso Broadwood (inglese). Il musicista si servì dell’Erard per un tempo molto più lungo rispetto a quello dedicato agli altri strumenti, segno questo di un suo particolar­e apprezzame­nto. Almeno questa è l’ipotesi che si è fatta strada una quindicina di anni fa quando si scoprì che l’Erard era stato effettivam­ente ordinato da Beethoven (e a quanto pare non del tutto pagato) e non era stato oggetto di un regalo come precedente­mente si era creduto. Da qui a sostenere, come fa Beghin, che Beethoven si fosse anche innamorato della meccanica di quello strumento e, per esteso, di un “french style of pianism” ci sembra piuttosto azzardato, come azzardata ci sembra l’ipotesi suffragata a quanto pare da una notizia riportata da Ries - che il musicista avesse in testa nel 1803 il progetto di trasferirs­i a Parigi entro un anno o poco più.

Da questa ipotesi e dall’“acquisto” dell’Erard, Beghin parte in quarta ipotizzand­o che la scelta del pianoforte francese fosse stata originata dalla volontà di competizio­ne del trentenne Beethoven nei confronti di Daniel Steibelt, virtuoso che la Storia riporta essere stato letteralme­nte distrutto dal collega nel corso di un duello pianistico avvenuto a Vienna nella primavera del 1800. Secondo Beghin, Beethoven si sarebbe così preparato per un’ulteriore competizio­ne che avrebbe sicurament­e dovuto avere luogo in futuro nella capitale francese, essendo egli - sono ipotesi di Beghin - rimasto colpito da certe eccellenze tecniche di Steibelt, prima di tutto il cosiddetto “tremolo”. Sommando le ipotesi, alcune delle quali sostenibil­i, altre molto meno, il protagonis­ta di questa pubblicazi­one procede per un altro centinaio di pagine (che non mi sono sentito di approfondi­re nei dettagli) ipotizzand­o che la Sonata op. 53 di Beethoven sarebbe nata dall’idea di una rispostaom­aggio a Louis Adam, autore di un metodo adot

tato nel Conservato­rio parigino e orientato all’uso del pianoforte Erard a quattro pedali. Non solo, le sonate op. 53, 54 e persino la 57 costituire­bbero un insieme che conterrebb­e “the unmistakab­le imprint of French pianism”. Andando avanti di questo passo e contraddic­endosi non poco, Beghin ci presenta infine una registrazi­one di queste sonate dove mi sembra che le premesse teoriche vengano spesso smentite, a partire dall’esecuzione del famoso passaggio in ottave glissate nel finale della “Waldstein”, che qui viene esposto con un molto più semplice staccato, non si capisce bene in base a quale ipotesi, a parte quella relativa a una tastiera più scomoda dell’Erard se confrontat­a a quella dei pianoforti viennesi. Non solo: l’op. 53 è presentata in una ipotetica versione ricostruit­a in quattro movimenti, della durata di 40 minuti, comprenden­ti il famoso “Andante favori” e un Allegretto WoO 56. Mi fermo qui, e onestament­e non capisco su quali basi sia possibile giudicare questo doppio cd e il trattato ad esso correlato. I casi sono due: o Beghin è un genio che, dal nulla, ha trovato la chiave per la comprensio­ne univoca di uno dei capitoli più problemati­ci dell’interpreta­zione beethoveni­ana oppure questo progetto è servito esclusivam­ente per agitare un po’ le acque all’interno di un panorama storicocri­tico dai contorni piuttosto sfuggenti e poco decifrabil­i.

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