LINDA degli equivoci
Predomina il tono da commedia brillante nell’opera semiseria di Donizetti con una Jessica Pratt pirotecnica
DONIZETTI
LINDA DI CHAMOUNIX
INTERPRETI J. Pratti, F. Demuro, F. Capitanucci, M. Pertusi
DIRETTORE Michele Gamba
REGIA Cesare Lievi
TEATRO del Maggio Musicale Fiorentino ★★★/★★★★
Proposta azzeccata, quella di Linda di Chamounix, che il teatro del Maggio Fiorentino ha inserito nel suo cartellone streaming dopo l’apertura con Otello: un melodramma di mezzo carattere, che Donizetti destinò a Vienna negli anni Quaranta; e che mancava da Firenze da tempo imme
morabile. Unica aria rimasta nel repertorio dei soprani di agilità, la sortita di Linda “O luce di quest’anima”: e pour cause, perché il taglio di questo lavoro della maturità donizettiana è largamente giocato su cori, concertati, e soprattutto su scene a due, con limitato spazio dato alle arie solistiche. Attraverso i tanti duetti ben scozzati (uno soltanto d’amore) Donizetti narra la vicenda di una povera savoiarda che per sfuggire alle insidie di un marchese (mentre lei ha giurata fede al suo nipote Carlo) lascia il suo paese. In città subisce ancora tentativi di seduzione, e abbandonata dal fidanzato, maledetta dal padre, impazzisce. Poi tutto si ricompone felicemente con un lieto fine. Vicenda drammatica poco credibile, per cui però Donizetti sciorina una qualità musicale di un bel livello, anche se non ha vertici di particolare splendore inventivo (bella però la preghiera-concertato dei contadini che lasciano il paese con Linda, che chiude il I atto, e commovente ed elegante, nel segno dell’Ernesto del Don Pasquale, il canto tenorile “Se tanto in ira agli uomini”); accurata nell’orchestrazione, e con personaggi di carattere lirico ben tratteggiati, un vivacissimo buffo che incarna il Marchese seduttore, e il vitale musico Pierotto, amico di Linda, en travesti.
Spettacolo ambientato da Luigi Perego in una cornice che ha qualcosa di volutamente adolescenziale (l’alberello nello sfondo e soprattutto la linda casetta del II atto), tutta giocata per i costumi su un bell’azzurro cartadizucchero che è un po’ il pedale timbrico della messinscena. La regia di Cesare Lievi, improntata a un lineare realismo, con qualche felice soluzione (la sfilata del coro come figurine-ombra nello sfondo) si è però lasciata andare a effetti eccessivi nei brutali tentativi di seduzione di Linda praticati dal Marchese e anche da Carlo, a una gestualità esagitata - II e III atto - per la Linda impazzita e tornata al senno; a qualche controscena poco giustificabile, come il Rettore che assiste a tutte le vicende del I atto scrivendo a un tavolinetto a lato della scena, o quella larga fascia rossa che attraversa il fondale nella scena della pazzia. Molto accurata la direzione di Michele Gamba, che ha gestito un bel rapporto con le eccellenti compagini corali e orchestrali del Maggio. Nel cast, si sono fatti molto apprezzare, anche sul piano scenico, Fabio Capitanucci, brillantissimo Marchese (assai poco perverso) di segno rossiniano, e il tenero Pierotto interpretato da Teresa Iervolino; una felice sorpresa la prestazione di Francesco Demuro nei panni di Carlo, di voce limpida e omogenea nei vari registri, e bene anche Vittorio Prato come Antonio, mentre da
Michele Pertusi nei panni del prefetto ci si poteva attendere una prestazione più splendente. Ormai habituée del teatro fiorentino, Jessica Pratt ha dato della protagonista una lettura corretta ed elegante e sul piano drammatico abbastanza convincente, nonostante una regia che ha richiesto una gestualità esagitata alla sua figura monumentale; vocalmente ancora puntualissima nelle agilità e nei sovracuti, anche se qua e là l’intonazione non era proprio ineccepibile. Certo, l’assenza del pubblico con i suoi applausi, che sarebbero stati comunque assai calorosi, ha tolto un certo sapore a questa felice ripresa che ha sofferto di un pizzico di gelo.