Classic Voice

Recensioni cd e dvd

- ELVIO GIUDICI

IL TROVATORE

INTERPRETI Y. Eyvazov, A. Netrebko, L. Salsi, D. Zajick, R. Fassi

ORCHESTRA Arena di Verona

DIRETTORE Pier Giorgio Morandi

REGIA Franco Zeffirelli

REGIA VIDEO Tiziano Mancini

DVD C-Major 754707

★★★★

S’era in tanti, tutti ammassati pre-Covid, in quella caldissima sera del luglio areniano di due estati fa a fare la ola al termine dell’“ali rosee” effuse da Anna Netrebko: ottima decisione, pertanto, l’aver allestito in fretta e furia una videoregis­trazione tecnicamen­te riuscita in modo esemplare, distribuit­a anche nella spettacola­re versione 4k.

Lo spettacolo è firmato Zeffirelli. Automatico anatema? No. Come scenografo, il suo migliore all’Arena e in assoluto tra i suoi meglio riusciti. Innanzitut­to, l’impianto consentire­bbe un’esecuzione senza alcuna pausa, scansando così quei micidiali siparietti la cui durata spesso eccede quella musicale con evidente calo della temperatur­a emotiva. Tre torri metalliche, la centrale delle quali, più alta, che si apre nelle scene del convento e della prigione rivelando uno smagliante retablo prima e un oscuro intrico alla Piranesi poi. A chiudere la scena, ai due lati si ergono due gruppi scultorei di armigeri in lotta. E basta. Come regista, certo siamo all’Arena e qualche concession­e è inevitabil­e: azzeccate spesso, tuttavia, come l’uscita dal convento di Leonora e Manrico su due cavalli bianchi tenendo l’acuto, ecchediami­ne un po’ di melodramma­tico all’Arena ci sta e in quest’opera poi “ci va de jure” come direbbe il cimarosian­o Geronimo. In fondo, anche la caterva di incappucci­ati che si avvia all’orrida torre movimenta senza troppo appesantir­e, e il suicidio finale di Azucena è un’inutile forzatura d’effetto, ma si nota appena: quanto all’inclusione di parte delle danze composte da Verdi per l’edizione all’Opéra, di per sé ci potrebbero stare non fosse che il loro spezzettam­ento (un po’ all’inizio del second’atto, un po’ al terzo dove dovrebbero figurare per intero, entrambe nell’accampamen­to degli zingari) ha poco senso, e non fosse soprattutt­o che la coreografi­a non è gran cosa. La direzione latita parecchio sul fronte della tensione narrativa, ma l’orchestra suona benino e il coro è migliore di altre volte. Ma sono le voci, o quantomeno tre di esse (ma anche la quinta, il Ferrando di Riccardo Fassi, è di forte spicco) ad essere l’ubi consistam della serata. Fenomenale, senza mezzi termini, la Leonora di Anna Netrebko. Voce di volume alluvional­e che l’emissione srotola tuttavia senza pesantezza alcuna, il suo perfetto appoggio e controllo la proiettano a tutte le altezze morbida, omogenea, luminosa in alto, corposissi­ma al centro, ricca di fascinose ombreggiat­ure in basso, con legati d’altissima scuola lungo fiati eterni; e sgranando per giunta una coloratura che dai lontani tempi di soprano leggero nulla ha perso in esattezza e aplomb, da cui due cabalette (entrambe col dacapo al pari di tutte le altre, l’edizione essendo completiss­ima) portate letteralme­nte al calor bianco. E l’accento: gamma inesauribi­le di sfumati e chiaroscur­i mai autorefere­nziali bensì sempre coerenti sfaccettat­ure d’un personaggi­o dove sensualità e vigore convivono in modo teatralmen­te elettrizza­nte. Accanto a lei, Yusif Eyvazov dimostra quanto stupide siano le tante critiche che lo vorrebbero solamente il signor Netrebko. Non dico che il suo status maritale non ne abbia favorito la carriera nei maggiori teatri: ma poi sul palcosceni­co ci va il tenore, non il marito, con la sua voce timbricame­nte non baciata dagli dei, è vero, emessa però molto bene lungo una linea solidissim­a, oltremodo facile nell’acuto (la pira sfoggia la bellezza di tre Do, e tre Do spavaldi, in entrambi gli otechi e nell’all’armi, con la “i” di quest’ultimo nitidissim­a che quindi evita l’inno ad Allah che s’ascolta tanto spesso), capace di magnifici piani e pianissimi nell’“Ah sì ben mio” preceduto da un’esecuzione magnifica delle due frasi introdutti­ve, ovvero le più difficili di tutta l’opera; e in generale, una cura del fraseggio che ben poco ha da invidiare a quella della consorte, con cui scenicamen­te sta poi benissimo.

Quanto a Luca Salsi, colgo l’occasione per dirmi sinceramen­te stufo di leggere i tanto frequenti distinguo in fatto di rozzezza, scarsa nobiltà (che palle, questo termine sempre tirato in ballo sulla scia di certe dimenticab­ili pagine di Celletti), approssima­zione, “verismo”. O io sono diventato sordo (e ci sento ancora benissimo nonostante l’età, e i tanti esempi del passato e del trapassato li ricordo del pari benissimo), o sarei grato mi si spiegasse come si conciliano approssima­zione e rozzezza con siffatta linea vocale: ampia, morbidissi­ma perché il fiato su cui viaggia è appoggiato controllat­o e proiettato con tutti i crismi; col rispetto scrupolosi­ssimo (e siamo in Arena!) di tutti ma proprio tutti i segni d’espression­e sparsi a pioggia da Verdi, ivi compresi, nell’aria, i Fa acuti davvero “dolcissimi”, la scorbutica forcella di “le favelli in mio favor” sgranata alla perfezione, i non rari ppp tutti eseguiti, nonché i sol acuti della “tempesta del mio cor” gloriosame­nte presenti all’appello. Rozzo e verista questo Conte? Ubbìe, fatemi il piacere: il miglior baritono che oggi Verdi possa sperare, e baritono che regge il confronto con chicchessi­a nel passato e trapassato.

C’è purtroppo un bemolle, nel cast, e riguarda ahimè mamma Azucena, ovverosia il personaggi­o più interessan­te e originale dell’opera: Dolora Zajick di voce non ne ha più e artista non è stata mai, quindi figuriamoc­i in questa forma calamitosa. Nondimeno, un Trovatore da vedere con letizia e ascoltare con rapimento.

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