Post Andrea Estero
Gentile direttore, lo streaming sta diventando la modalità di ascolto predominante: i lettori cd stanno scomparendo, il download non è disponibile in modo pratico. Tutti stanno passando allo streaming a pagamento. E l’attuale crisi sanitaria accelera il passaggio. Tuttavia il sistema di pagamento per gli artisti è stato concepito in un momento in cui questa pratica era piuttosto marginale, sulla base di abbonati (principalmente giovani) che ascoltavano costantemente durante la giornata brani formattati su una durata media di 3 minuti e 30 secondi. La distribuzione dei ricavi è stata quindi effettuata sulla base dell’audience complessiva e di un brano ascoltato per almeno 30 secondi. Oggi lo streaming è praticato invece da persone di età compresa tra 7 e 99 anni e attraverso tutti i generi, dalle canzoni di 3 minuti alle sinfonie classiche, dove ogni movimento (e quindi ogni traccia) può durare 20 minuti. E i tempi di ascolto di un settore della popolazione rispetto a un altro sono estremamente diversi. Un sistema di distribuzione basato su ciò che gli abbonati ascoltano nel loro insieme non è più adatto. Oggi il 30% degli utenti intensivi genera il 70% delle entrate. C’è quindi un fenomeno di guadagno concentrato in certi repertori, ascoltati in loop. Sappiamo per esempio che alcuni artisti pop sono spinti a ridurre la durata delle loro canzoni a 2 minuti per massimizzare le entrate per traccia, effetto perverso di un sistema illogico. Questo sistema deve essere cambiato ora perché se i ricavi generati sono troppo bassi in alcuni repertori, allora scompariranno, poiché nessuno può più permettersi di produrre questa musica. È necessario agire per salvare la diversità creativa della musica: esortando tutte le piattaforme a cambiare il loro metodo di remunerazione e pagando i titolari dei diritti in base a ciò che ciascun abbonato ha effettivamente ascoltato (il tempo di ascolto). Nel frattempo, creiamo un “fondo di sostegno alla diversità musicale” che indirizzerebbe l’aiuto finanziario verso repertori tradizionalmente svantaggiati dal sistema attuale.
“Alcuni artisti pop sono spinti a ridurre la durata delle loro canzoni a 2 minuti per massimizzare le entrate per traccia”
Didier Martin Direttore di Alpha Classics e Outhere Music Group
Sottoscriviamo il messaggio divulgato da Didier Martin. La piattaforme in streaming sono parte del futuro della musica. Ma vanno maneggiate con cura. Come è possibile dare lo stesso valore commerciale a una traccia, che duri tre minuti – come una canzone – o venti come un movimento di una sinfonia di Bruckner? Senza contare che una canzone di Mahmood si ascolta a ripetizione, generando molti profitti, il finale della Götterdämmerung no. Ce n’eravamo già occupati – preveggenti! - nell’inchiesta pubblicata su “Classic Voice” n. 246. Ora Martin rilancia, aggiungendo l’idea di un “fondo di sostegno sulla diversità musicale” che incentiverebbe il mercato di classica, opera e jazz... Gli appassionati di musica di qualità - i più disponibili, dicono le statistiche, a spendere per abbonamenti e sottoscrizioni – apprezzerebbero.