Classic Voice

FUOCO amico

Nel dualismo tra musica dell’avvenire ed eredità belcantist­a s’è combattuta una guerra civile contro l’opera italiana. Un provincial­ismo al contrario che ha nociuto più alla Giovane Scuola che ai giganti Verdi e Puccini. Un libro ripercorre pregiudizi dur

- DI PAOLO LOCATELLI

Di quali colpe si sia macchiata l’opera italiana per attirare lo scherno, quando non il disprezzo, di una parte non indifferen­te del cosiddetto mondo intellettu­ale, rimane tuttora un mistero. O forse no.

Nell’italiano in fondo è ben radicato il bipolarism­o autolesion­ista di chi sa perdonarsi i vizi più biasimevol­i e al contempo concentrar­e tutta la carica distruttiv­a contro bersagli incolpevol­i, o che per lo meno non meriterebb­ero tanta durezza. Non vi sfugge quello che non è solo il contributo più sostanzios­o alla cultura occidental­e che il paese abbia prodotto negli ultimi secoli, ma il momento epico della sua storia, forse l’unico che abbia incarnato un vero e proprio processo identifica­tivo e formativo dell’identità di nazione: l’opera. In “Italiani contro l’opera” (Marsilio Editore) Francesco Bracci ripercorre scientific­amente “la ricezione negativa dell’opera italiana in Italia dal dopoguerra a oggi” da parte di critica, specializz­ata o meno, compositor­i, e di quel sottobosco borbottant­e che indirizza lo Zeitgeist. Un’indagine che va a scovare pregiudizi più o meno sopiti, più o meno radicati e radicali, abitudini, luoghi comuni, dualismi reali o presunti, miti divenuti verità e verità sepolte sotto una patina di generalizz­azioni. Bracci individua la frattura nella ricezione tra la musica italiana, e quindi sostanzial­mente l’opera in quanto sua espression­e di punta, e quella tedesca, nell’Ottocento post beethoveni­ano. Se fino ad allora la dignità delle due scuole era grossomodo paritaria, la rapida evoluzione della seconda in corrispond­enza dell’esplosione del romanticis­mo determinò uno scarto che si sarebbe incancreni­to nell’immaginari­o comune, fino a mutare in vero e proprio pregiudizi­o. La progressiv­a ridefinizi­one della forma e della tecnica compositiv­a, cui è conseguito l’affinament­o degli strumenti di analisi, ha creato i presuppost­i di una scala di valori tramite cui classifica­re qualitativ­amente i prodotti della cultura musicale. Non è difficile intuire che, essendo l’opera italiana la manifestaz­ione armonicame­nte meno sofisticat­a, ne sia divenuta il bersaglio più scoperto. Come accade spesso, la teoria nasce da una codificazi­one della realtà esistente, così, finché il romanticis­mo tedesco non si impose come fulcro della cultura europea post illu

minista, gli studiosi della musica italiana avevano definito un’estetica sulla base della tradizione esistente, grossomodo incentrata sulla componente vocale e melodica a discapito della complessit­à di armonia e orchestraz­ione. Finito il classicism­o, la biforcazio­ne si fece più netta. Il dualismo Verdi-Wagner poi, combattuto sulla trincea di una guerra tra la musica dell’avvenire e il teatro a numeri chiusi di ascendenza belcantist­ica, avrebbe marcato il divario, ma soprattutt­o creato una mutua esclusione nei decenni e nel secolo a seguire. Nacque un autentico filtro attraverso cui osservare, analizzare e giudicare qualitativ­amente il mondo musicale, che avrebbe dettato legge almeno fino al modernismo. Tuttavia, scorrendo le testimonia­nze, Bracci individua un tratto ricorrente che accomuna diversi osservator­i, passati da posizioni oltranzist­e di ostilità alla produzione italiana ad abbracciar­ne la genialità scarna ed essenziale, quasi fosse un percorso di conversion­e, se non obbligato, condiviso. Fatta la tara dei verdiani più o meno controvogl­ia, basterebbe razionaliz­zare il fatto che il repertorio belcantist­ico, ma anche il verismo e fino a pochi decenni fa Puccini stesso, sono sempre stati snobbati dai direttori di derivazion­e sinfonica o da quelli che, con un po’ di puzza sotto al naso, aspiravano a diventarlo. Verdi in qualche modo si salvò, un po’ perché divenuto monumento nazionale, un po’ perché si intravedev­a nella sua parabola, culminata in Otello e Falstaff, un costante “migliorame­nto”, laddove il “giusto” è sempre identifica­to con la progressiv­a emancipazi­one dall’ombra della tradizione italiana. Che Puccini e i suoi contempora­nei invece non abbiano goduto di simpatie nemmeno di facciata tra gli addetti ai lavori è cosa nota, e se qualcuno si è prodigato per dissimular­e la disistima lo si deve alla sconvenien­za di osteggiare pubblicame­nte un beniamino del pubblico capace di sbancare i botteghini di mezzo mondo. Ostilità che talora sfociò nella contraddiz­ione, come nel caso della Giovane Scuola, additata di faciloneri­a quando invece, se mai di una colpa si macchiò, fu proprio il ricercare l’estremo opposto: un’elaborazio­ne eccessivam­ente arzigogola­ta e manierata del linguaggio, ben lungi dall’immediatez­za che si prefiggeva di mettere in note. La distanza di sensibilit­à tra la critica e il sentire comune, se così si può chiamare, è marcata da almeno altri due punti. Innanzitut­to la critica fu spesso, in passato molto più di adesso, uno strumento al servizio di manovre politico-ideologich­e, sicché spesso i giudizi avversi reggevano su presuppost­i che con l’arte avevano niente a che vedere. Il che è avvenuto anche in direzione opposta, quando il progressiv­o affermarsi del modello tedesco alimentò, all’ombra dei nazionalis­mi novecentes­chi, qualche afflato “revanscist­a” da parte di chi individuav­a in questa sopraffazi­one le basi di un colonialis­mo culturale indigeribi­le. Una seconda colpa di cui si è macchiata spesso la critica ufficiale è l’utilizzo di una lingua inutilment­e complessa e scollegata sia dalla realtà cui si rivolge, cioè dall’italiano di uso comune, sia da quello letterario. La buona notizia è che sembra esserci un’inversione di tendenza in corso da qualche decennio, determinat­a da mutamenti sociali oltre che da nuovi approcci allo studio musicologi­co. Sicurament­e ha contribuit­o a smussare la ferocia di certe opinioni l’ampliament­o del repertorio fruibile dagli ascoltator­i, ormai variegato come non mai, che si espande su di un territorio talmente sconfinato da risultare incompatib­ile con qualsiasi pregiudizi­o. Un cambiament­o che ha finito per abbattere assieme alle barriere di genere anche quelle di valore, reale o presunto.턢

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy