Classic Voice

STILE LIBERO

- CARLO MARIA CELLA

PIAZZOLLA

MARÌA DE BUENOS AIRES VOCI Raphaële Green Alejandro Fonte Annemie Vandaele

ENSEMBLE Zvezdoliki

2 CD Antarctica Records

2018 R 009 ★★★

PIAZZOLLA

REFLECTION­S ACCORDION Ksenija

Sidorova

ENSEMBLE Bbc National Orchestra of Wales, Ndr Elbphilhar­monie Orchester DIRETTORE Thomas Engelbrock, Leslie Hatfield CD Alpha-Classics 664 ★★★★

TANGO

ACCORDION Pascal Contet

ENSEMBLE Royal Chamber Orchestra of Wallonia

DIRETTORE Paul Meyer

CD Aparte Music AP 246 ★★

Cent’anni dalla nascita di Astor Pantaleón Piazzolla, nipote testardo di nonno anarchico, toscano di Massa Carrara, non sono passati invano. Però fuori dal paese che i Piazzolla avevano lasciato, come altre decine di migliaia di loro simili, per creare nelle americhe, come dice Barenboim, l’unica regione italiana in cui si parla spagnolo. Meglio hanno fatto altri, che il tango non l’hanno inseminato di là dal mare. Questo florilegie­tto di album lo dimostra: la nuova registrazi­one dell’operina bastarda di Astor, Maria de Buenos Aires, è nata in Belgio, nella cittadina fiamminga di Mechelen, provincia di Anversa; le “Riflession­i” su Astor di Ksenjia Sidorova (accordeoni­sta di Riga, che possiamo trascriver­e in Xenia) sono prodotte in Germania e suonate con un’orchestra gallese e una tedesca; l’antologia di Tango pre-Piazzolla congegnata da Pascal Contet è registrata a Mons, altra cittadina belga, che ha convertito le miniere sofferte da tante braccia italiane in luoghi d’arte, per un’etichetta di Pantin, Île de France. Sono pochi esempi ma significat­ivi. E veniamo al dunque.

Piazzolla mise piede in palcosceni­co nel 1968, quando venne eseguita in teatro per la prima volta Maria de Buenos Aires, “operita de Tango” nata per la radio. Maria è la città stessa, simbolo della gente che l’abita, dello spirito di chi la vive: santa e puttana, orgoglio e decadenza. Un’ora e mezza di musica che è canto ma non solo canto; è narrazione e strumentaz­ione aperta; forza, ritmo ed emozione. Rimase a lungo ineseguita. Solo trent’anni dopo, un tour mondiale la riportò alla luce, postuma, spesso

rimaneggia­ta, molto tagliata e ricomposta a immagine e secondo le esigenze di chi la prendeva per mano e la tirava fuori dall’ombra.

Sta già dalla parte giusta una versione discografi­ca che, come questa, l’offre integra. Maria, parte che doveva essere dell’ispiratric­e e compagna di Astor, Egle Martin, una specie di Lotte Lenya, e fu invece di Amelita Baltar dopo che la storia d’amore finì, ha qui la voce calda di una cantante di colore, Raphaële Green. Nelle due parti di contorno, che sono coro e narranti, sui versi bellissimi di Horacio Ferrer, tutti da rispettare, si impegnano in un argentino “autentico” una fiamminga e un madrelingu­a, Annemie Vandaele e Alejandro Fonte. L’ensemble Zvezdoliki, abituato a percorrere le strade medio-cameristic­he del Novecento e della contempora­neità, allinea gli esatti undici strumenti, dal flauto ai violini al pianoforte alla chitarra alle percussion­i, bandoneon compreso, naturalmen­te. Non siamo alle radici del Tango che Borges immaginava come la fantasia di vedersi la gola tagliata da un coltello in un barrio di Buenos Aires. Ma ci sono scatto, agilità e colori. I sedici quadri della Madonna di tutte le disperazio­ni argentine hanno spazio e vita.

I due album strumental­i hanno qualcosa in comune: suonano sull’accordion (o accordeon, fisarmonic­a “grande” per semplifica­re) quel che Astor soffriva sul bandoneon. Nulla di vietato, ci mancherebb­e, ma molto da verificare, perché gli strumenti sono solo cugini. Il bandoneon ha i bottoni cromaticam­ente disposti sui due lati esagonali che trattengon­o il lungo soffietto, che più di quello della fisarmonic­a tradiziona­le influisce sulla dinamica e sul colore di ogni nota, più fisicament­e li controlla, più direttamen­te riversa il “dentro” nell’espression­e. Il bandoneon non arriva subito al tango, che agli inizi fu affare di chitarre, ma da quando il tango lo fa suo, diventa il suono stesso della musica porteña, la voce principale, il dialogante di chi canta, quando c’è; ombra e doppio di chi suona.

In Lunfardo, il gergo del Tango, il bandoneon si chiama Fuelle, polmone. E come un polmone inspira ed espira, come una voce soffre. “Gime, bandoneón, tu tango gris”, gemi bandoneón, il tuo tango grigio, invita Enrique Cadìcamo in Nostalgias. “Lastima bandoneón, mi corazón… Contame tu condeña”, addolora il mio cuore, raccontami la tua condanna, invoca Càtulo Castillo in La ùltima curda, l’ultima sbronza. Il tragico e lo sconsolato che c’è nel Tango, il pensiero triste, è molto (tutto?) nella voce affannata di questa fisarmonic­hetta importata in Argentina dai marinai europei nell’Ottocento, in quel trascinars­i nel suo due quarti doloroso.

La distanza con lo strumento che Piazzolla suonava a sua propria gloria e maledizion­e, si avverte molto di più nella compilazio­ne di Pascal Contet che in quella della Sidorova. Contet sceglie un filo conduttore interessan­te: far riascoltar­e brani di autori che sono venuti prima del Tango Nuevo di Piazzolla, come Augustin Bardi, Juan D’Arienzo, Horacio Salgan/Ubaldo de Lio, Eduardo Arolas. Come interprete votato ad autori contempora­nei, Contet aggiunge due pezzi nuovi composti ad hoc e “sul modello di”: Stras Medianoche di Graciela Pueyo e una lunga e ambiziosa Valentino Suite di Christiphe Julien. Il valore dell’album è qui. Gli omaggi moderni sono di rispetto e i pezzi dei “predecesso­ri”, bellissimi, raccontano bene la parte della storia porteña messa in ombra da Piazzolla. Meno eccitante è invece il “come”: quando Contet affronta Piazzolla (Oblivion e Libertango) e il leggendari­o Volver del mito Gardel, la pulizia ben rifinita dello strumento e della tecnica, unita alla maniera con cui Meyer dirige per benino l’orchestra vallona, ci porta lontano dai suburbi di Buenos Aires. Di sofferto c’è poco o nulla.

Ksenjia Sidorova viene anche lei dal freddo, ma è una donna (bellissima tra l’altro; come si sia votata dai sei anni di età alla disciplina di quell’organo portatile ch’è la fisarmonic­a, lascia di stucco). E questo conta: la muove una passione speciale e quando mette le braccia attorno a Chau Paris, al Concerto per bandoneon e orchestra, a Yo soy Maria

(dall’operita), a Libertango, non può lasciare freddo nessuno. Anche la sua proposta di brani contempora­nei d‘ispirazion­e tanguéra (dell’italiano Pietro Roffi, classe 1992; di Sergey Voitenko, 1973; di Franck Angelis, 1962; di Sergey Akhunov, 1967), con l’aggiunta di una tutt’altro che impropria trascrizio­ne dell’Adagio in Re minore Bwv 974 che Giovanni Sebastiano trasse dal Concerto per oboe e archi di Alessandro Marcello, sono perfettame­nte “in tinta” con lo spirito inquieto di Piazzolla. E anche le due orchestre venute dal nord ne sono contagiate. Qui Astor c’è.

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