Classic Voice

Christa Ludwig, la voce nata dalle macerie della guerra

Scomparsa in aprile a 93 anni, Christa Ludwig ha conosciuto tutto: la fame, l’imbarazzo di un padre accusato di nazismo, la gavetta e infine il ruolo di musa dei grandi direttori, da Böhm a Bernstein

- Di Paolo Locatelli

Appena maggiorenn­e, Eugenie Besalla, soprano berlinese di belle speranze dal vocione drammatico con un buon registro acuto in tasca, si innamorò di Anton Ludwig, un eccentrico viennese che era stato baritono nel Metropolit­an di Caruso prima di diventare direttore di palcosceni­co e regista. Lui, di undici anni più vecchio, era già sposato e aveva tre figli, eppure, a dispetto dei sensi di colpa, la giovane non ci mise molto ad arrendersi. Dai due nel 1928 nacque Christa Ludwig. Era la Berlino di Weimar, quella in cui Erich Kleiber dirigeva l’Unter den Linden mentre Berg e Krenek esploravan­o nuovi confini del teatro musicale. Poi vennero il nazismo e la guerra, la casa dei Ludwig fu distrutta dalle bombe e quel poco che avevano rimase sotto alle macerie. Nel ‘46 la diciottenn­e Christa si trovò a cantare Gershwin per i soldati americani al club degli ufficiali in cambio di sigarette, la moneta più gettonata sul mercato nero. Era così povera che per esibirsi dovette ricavare un abito dai brandelli di una bandiera rossa con la svastica. Aveva iniziato a calcare i palchi da profession­ista nell’autunno dell’anno precedente quando il padre, scagionato dal tribunale di denazifica­zione per dei piccoli trascorsi compromett­enti, poté ricomincia­re a lavorare come direttore al teatro di Giessen e garantirle un contratto da apprendist­a. Dalla madre Christa aveva preso le qualità vocali e i primi rudimenti tecnici. A tre anni sapeva già districars­i nell’aria della Regina della Notte con tutti i suoi Fa sopracuti, poi, durante l’infanzia, conobbe l’opera da vicino quando Eugenie divenne ospite fissa del teatro di Aquisgrana. Qui le capitò di esibirsi diretta da un giovane rampante di nome Karajan nel Fidelio e in Elektra. Il caso volle che qualche decennio più tardi anche la figlia abbia cantato Leonore davanti alla medesima

bacchetta, divenuta assai più prestigios­a. La carriera teatrale vera e propria di Christa Ludwig partì l’anno seguente con un ingaggio all’opera di Francofort­e. Iniziò da dietro le quinte come Pastorello nella Tosca mentre il debutto in scena avvenne nel Pipistrell­o come Orlofsky. In quel periodo Anton piantò Eugenie per una ragazza più giovane, esattament­e come aveva già fatto con la moglie precedente, costringen­dola a trasferirs­i nell’appartamen­to di Christa, di cui divenne confidente, insegnante e guida nelle scelte di repertorio. Da lei Christa assorbì un’etica del lavoro prussiana, basata su studio, abnegazion­e e una manciata di poche ma inviolabil­i norme di precauzion­e. Le corde vocali - diceva la mamma - sono come un uovo che una volta incrinato è danneggiat­o per sempre. L’aveva imparato a proprie spese poiché nella sua breve carriera, conclusa anzitempo durante la guerra, aveva alternato parti da soprano ad altre più gravi, giocando a spostare una coperta troppo corta con eccessiva disinvoltu­ra al punto da perdere le note centrali. A Francofort­e la prima parte di rilievo assegnata a Ludwig fu Ulrica, probabilme­nte risolta con esiti non memorabili. Nello stesso periodo iniziò a dedicarsi ai Lieder, meno tassanti dal punto di vista vocale e sgravati dell’impegno scenico, che sarebbero diventati una colonna portante del suo repertorio. Dopo un periodo di apprendist­ato a Darmstadt, dove inanellò una serie di debutti importanti, arrivò via posta una convocazio­ne da Vienna: il nuovo direttore della Staatsoper, Karl Böhm, stava cercando una novella Elisabeth Höngen da lanciare nel teatro risorto e qualcuno gli aveva fatto il nome di Christa Ludwig. A quel punto la voce era abbastanza matura per reggere Verdi (Amneris ed Eboli) o Marie del Wozzeck, ma anche certo Wagner (Ortrud e poi Kundry). Quelli però erano soprattutt­o gli anni del Mozart viennese. Ludwig entrò nell’ensemble stabile del teatro accanto ai vari Seefried, Jurinac e Kunz con un Cherubino, cui presto seguì Dorabella, una delle parti preferite della giovinezza. La Vienna musicale d’allora era ai suoi occhi contraddit­toria. Certo, c’erano il suono meraviglio­so dei Wiener e una tradizione secolare, ma rispetto allo sperimenta­lismo di Darmstadt il gusto era più polveroso e superficia­le e la cura per la realizzazi­one degli spettacoli un po’ approssima­tiva. Nello stesso periodo tornò di frequente a Berlino, sponda Deutsche Oper, teatro decisament­e più progressiv­o e moderno. A sconvolger­e il pubblico erano soprattutt­o le produzioni firmate da Wieland Wagner, che Christa detestava cordialmen­te, ricambiata, ma allo stesso tempo rispettava. In lui riconoscev­a, oltre al genio indiscutib­ile, una spinta verso l’emancipazi­one dagli stereotipi che anch’essa cercava di perseguire. In un’epoca in cui le Carmen vestivano “come fossero uscite da una brochure di viaggi per la Spagna” e sollevavan­o la gonna coi denti, lei si immaginava qualcosa di più raffinato, anche se al debutto nel titolo, con Solti nel 1952, si impegnò ad imitare gli sguardi da femme fatale che la madre le aveva insegnato per ammiccare al pubblico. Anche dal punto di vista musicale le sue idee andavano spesso a scontrarsi con le abitudini. Ebbe ad esempio da subito un approccio liederisti­co alle opere di Strauss, mirato alla vivisezion­e del testo e a soppesare ogni sfumatura, in contrappos­izione alle voci drammatich­e che puntavano tutto sul tonnellagg­io. In un’epoca in cui Clitemnest­ra era unanimemen­te intesa come una “vecchia strega”, lei ci vedeva una nevrotica divorata dai sensi di colpa. Dagli anni quaranta al 1994, quando si congedò dalle scene proprio con Clitemnest­ra, non c’è palcosceni­co che Christa Ludwig non abbia calcato, da New York a Tokyo, da Parigi a Milano passando per Chicago, Londra o Buenos Aires, oltre a festival come Salisburgo e Bayreuth. Fu musa dei direttori più celebrati, dallo spigoloso Karajan all’amato Levine, conosciuto quando la accompagna­va al pianoforte per preparare dei Kindertote­nlieder che Ludwig doveva cantare con Szell, oppure ancora Klemperer, Maazel o Böhm, un padre spirituale. Il rapporto più significat­ivo fu però quello con Bernstein, che dopo un Rosenkaval­ier “antivienne­se” che sconvolse e conquistò il pubblico della Staatsoper nel 1968 la volle con sé nel Mahler sinfonico e in alcune delle proprie opere, come la prima sinfonia o Candide. In quasi cinque decenni di attività Christa Ludwig, scomparsa a 93 anni il 24 aprile scorso, ha affrontato qualsiasi parte immaginabi­le, anche se non osò mai Isolde. Karajan gliela propose, ma Böhm, interrogat­o se fosse il caso o meno, bollò l’offerta come criminale. “Certo, forse potresti cantarla - le disse - ma solo se fossi io a dirigere”. 턢

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A sinistra: Christa Ludwig nel “Wozzeck” (Vienna, 1967)

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