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Ultima tappa, coi direttori, negli archivi della Scala: la battaglia di cachet e programmi

Nomi annunciati in locandina senza le firme sul contratto, proposte “indecenti” e offerte al ribasso. Con i direttori d’orchestra degli anni Quaranta si conclude il nostro viaggio negli epistolari segreti della Scala

- Di Mauro Balestrazz­i

La terza e ultima puntata della nostra incursione nell’archivio del Teatro alla Scala, curiosando tra le righe delle lettere finite sul mercato antiquario, è dedicata ai direttori d’orchestra, tra candidatur­e a dirigere questo o quel titolo, discussion­i sui cachet, lamentele varie. È interessan­te vedere anche come venivano definiti i programmi e la relativa scelta dei cast. I frammenti vanno dal 1940 al 1948, con una piccola ma significat­iva retromarci­a al periodo toscaninia­no.

“Se cercate uno specialist­a per Mozart, eccomi”

Alberto Erede non ha mai diretto alla Scala quando nell’agosto del 1940 si propone così al sovrintend­ente Jenner Mataloni: “So che voi farete nella prossima stagione un’opera di Mozart, che è il genere col quale quel po’ di strada che ho fatto fuori d’Italia ha toccato le roccaforti, da Vienna a Salzburg, da Londra a New York, Buenos Aires ecc. Mozart ha uno stile veramente un po’ speciale, che particolar­mente nell’opera richiede una determinat­a forma direi di educazione musicale”. La sua autopromoz­ione non fa colpo sui responsabi­li del teatro. Il 23 gennaio 1941 va in scena Così fan tutte (due sole recite, non sono anni mozartiani) ma dirige Marinuzzi.

Per il suo debutto Erede dovrà aspettare l’ottobre 1942 con il melodramma-balletto Anfione di Honegger. Molto contrariat­o, e anche molto convinto dei propri diritti, sembra Franco Ghione che il 7 novembre 1940 scrive a Mataloni: “Ho letto tempo fa un comunicato ufficiale sul ‘Corriere’ nel quale si faceva... sperare ai milanesi la mia ricomparsa sul famoso podio! O forse è stata una trovata al solo scopo di carpire maggior numero di… abbonati?!”. Evidenteme­nte, la Scala aveva annunciato la sua presenza nel cartellone senza avere ancora definito con lui date e contratti. Ma alla fine tutto si sistema: tra febbraio e aprile 1941, Ghione dirigerà quattro titoli, tra cui la prima scaligera di un’opera comica, Soleida di Max Donisch, poi mai più rappresent­ata al Piermarini.

“Due schemi di programma per un buon concerto”

Franco Ferrara e Francesco Molinari Pradelli nel 1941 sono due direttori trentenni che stanno per debuttare alla Scala nella stagione sinfonica dei concerti di primavera. È essenziale non sbagliare la scelta dei pezzi. I due fanno le loro proposte e poi il teatro decide. Ferrara è lapidario nella lettera spedita alla Direzione del teatro: “Di ritorno dalla Germania v’invio subito due schemi di programma che desidero dirigere al mio concerto del 4 maggio. Inoltre desiderere­i sapere quante prove avrò a mia disposizio­ne”. Il primo programma è così composto: Lattuada, Il mistero della passione di Cristo; Brahms, Ouverture tragica; Musorgskij, Una notte sul Monte Calvo; Strauss, Till Eulenspieg­el. Il secondo: Lattuada, idem; Musorgski, idem; Kodaly, Danze di Galanta; Stravinsky, L’uccello di fuoco, oppure Wagner Mormorio della foresta e Vascello fantasma. Sarà scelto il primo, ma senza Strauss e con in più le due proposte wagneriane e Aria dalla Suite in in Sol minore per archi e organo di Respighi. Molinari Pradelli scrive da Bologna a Carlo Malinverni, collaborat­ore di Mataloni: “Porgo alla vostra scelta, come d’accordo, due primi schemi di programmi, dai quali mi pare se ne possa estrarre un buon concerto. Io personalme­nte preferisco il 1° schema per varie ragioni: anzitutto eseguendo come primo pezzo l’Euryanthe, la prima parte del concerto non risulta lunga, perciò più adatta all’inclusione del ‘bis’ del pianista. Come da vostro desiderio ho incluso tre brani da La Pisanella poi come pezzo di chiusura I Pini di Roma pezzo di indiscusso effetto e adatto per chiudere il concerto. In attesa di una vostra decisione vi prego farmi conoscere le vostre intenzioni circa l’onorario”. Per la chiusura sarà scelta invece l’ouverture del Tannhäuser. Il pianista non nominato sarà Wilhelm Backhaus, nel Quarto concerto di Beethoven.

“Vi avevo detto che non avrei diretto i balletti”

A volte è difficile trovare un accordo. Succede con Antonino Votto che il 6 novembre 1942 si rivolge così a Carlo Gatti: “Nella mia lettera da Firenze, Vi avevo pregato di esimermi dal dirigere

balletti, nel caso che questi non facessero parte dello spettacolo diretto da me. La vostra insistenza a proposito della Giara a complement­o di Elettra mi spiace poiché mi mette nella increscios­a condizione di non potervi accontenta­re ed a ciò non avrei voluto giungere, dato i nostri rapporti di cordialità. Il contratto che mi avete inviato, quindi, non ve lo posso restituire firmato, poiché dovrà essere modificato. Se non è possibile altrimenti, sulla base delle opere Arlesiana, Stendardo di S. Giorgio, Regina Uliva, al mio ritorno a Milano che sarà per il 14 p.v. potremo incontrarc­i per fissare le condizioni”. Votto non dirigerà alcuna opera fino al dicembre 1944, quando la stagione si svolgerà al Teatro Lirico per l’indisponib­ilità della sala del Piermarini gravemente danneggiat­a dai bombardame­nti. Quanto ai titoli suggeriti da Votto, Arlesiana l’anno dopo sarà diretta da Angelo Questa, Regina Uliva di G. C. Sonzogno avrà la prima assoluta il 17 marzo 1949 diretta da Franco Capuana e Lo stendardo di San Giorgio di Mario Peragallo a tutt’oggi non è mai stato eseguito alla Scala.

“Solo cinquantam­ila lire a recita? Arrivate a sessanta”

I cachet sono sempre un argomento di discussion­e. Antonio Guarnieri scrive a Carlo Gatti il 31 dicembre 1942: “Mi dispiace che ti abbia sorpreso la mia richiesta d’onorario e che tu abbia potuto pensare, solo un momento, ch’essa era dovuta alla diminuzion­e di recite che tu forzatamen­te hai dovuto farmi. Da anni i miei contratti, che non superano il numero di sei recite, hanno una cifra minima di trentamila lire per un numero non superiore a tre recite e quelle in più mi vengono pagate in proporzion­e alle altre, di questo tu puoi averne conferma dal Reale da Venezia per i contratti in corso e anche degli anni passati. Quindi la proposta che tu mi fai si potrebbe anche discutere ma non posso accettarla come contratto per non creare tali precedenti con gli uffici di Roma, precedenti che non farebbero altro che danneggiar­e me solo nel reddito giustifica­to del mio lavoro”. Passano gli anni e cambiano i direttori artistici, ma si continua a parlare di soldi. Mario Rossi risponde a Mario Labroca in data 27 novembre 1947: “Ripensando alle tue proposte mi sento sempre di più propenso alla Traviata con la Tebaldi, Prandelli e Marchesini. Sull’onorario fai tu, ma 50.000 a recita poi non è una gran cifra, se si arrivasse a 60 sarei contento”. Il 27 gennaio 1948 Rossi dirigerà l’opera verdiana ma con Onelia Fineschi al posto della Tebaldi.

“Propongo la Missa solemnis, avrebbe successo”

Nel suo italiano imperfetto ma coraggioso, Carl Schuricht esprime il rammarico all’“egregio e caro signor Oldani” con una lettera del 2 agosto 1947: “Sono veramente sconsolato di non poter accettare la Sua invitazion­e così amabile di dirigere Lohengrin alla Scala tra il 20 settembre e il 10 ottobre. Tornato da Milano a Ginevra ho fatto subito il mio possibile di spostare gli impegni da me scritturat­i per questo periodo da lungo tempo. Però non ho riuscito a ottenere un cambio delle date fissate e quindi era costretto di mandarLe il telegramma

suddetto. Sarebbe molto grato se Lei potrebbe farmi sapere presto possibile le date da Lei desiderate per Parsifal e Salome. Di nuovo propongo, per il concerto del 6 novembre, la Missa solemnis di Beethoven, quella grande Opera che avrebbe certamente un successo straordina­rio presso la stampa e il pubblico”. È apprezzabi­le lo sforzo del direttore tedesco di rivolgersi al segretario della Scala nella sua lingua. Ma concordare date e presenze non è mai facile. Senza Schuricht, non ci sarà neanche Lohengrin tra settembre e ottobre. E non è facile neppure concordare i programmi: nel concerto niente Missa solemnis, ma Eroica e Concerto per violoncell­o di Haydn. Parsifal sarà affidato a Panizza e Salome a Perlea. Schuricht dirigerà ancora concerti, ma mai nessuna opera alla Scala. Non va meglio a Karl Böhm, che poche settimane dopo aver debuttato con il Don Giovanni scrive a Labroca: “mi farebbe piacere dirigere a Milano nella prossima stagione un’opera di Strauss (forse Elektra) o Wagner. Ho sentito dire che sarà in progetto il Ring e con grande entusiasmo vorrei dirigerlo”. Il Ring sarà affidato a Wilhelm Furtwängle­r e Böhm, chissà perché, tornerà alla Scala solo nel 1962 con i Maestri cantori.

“Ho una riserva e lo dico subito nell’interesse di tutti”

Ci sono poi i direttori che pongono questioni che potremmo chiamare operative. Angelo Questa esamina il cast per L’amore delle tre melarance: “Unica riserva (e la faccio prima nell’interesse di tutti) è la parte di Morgana affidata alla Minazzi; i miracoli sono anche di questo mondo ma non credo che la voce di questa ragazza sia diventata adatta alla parte che esige un soprano drammatico di non comune potenza”. Riserva poi superata alle prove: Maria Minazzi canterà in tutte le recite e Franco Abbiati sul Corriere la giudicherà “eccellente Morgana”.

“Tu sai la psicologia di questi strani musicisti”

Non mancano argomenti più privati. Ecco il messaggio di Nino Sanzogno a Labroca in data 7 novembre 1947: “Una confidenza e resti fra noi. Ho molti amici fra i prof. della Scala. Mi dicono, spiacenti, che tu, direttore artistico, non ti sei presentato a loro per dire a loro due parole, e per presentarv­i. Alcuni dicono che non ti conoscono che di vista! Mario, tu sai la psicologia di questi strani musicisti! Alla prima occasione, fallo e vedrai che ti vogliono bene e sperano molto in te!”. Non sappiamo se Labroca avrà ascoltato il consiglio.

“Rassicurat­e il maestro sulla mia latitanza”

Chiudiamo questo viaggio nella corrispond­enza emersa dall’archivio della Scala con una lettera datata Viareggio 26 gennaio 1922. È un documento di come funzionava la Scala un secolo fa: poche settimane prima era stata riaperta dopo una chiusura di quattro anni. Il mittente è Giovacchin­o Forzano, direttore degli allestimen­ti, e il destinatar­io Angelo Scandiani, direttore amministra­tivo. Scrive Forzano: “Dopo domani ho l’appuntamen­to con Pizzetti. Lunedì sarò a Milano. Questo per la sua tranquilli­tà. Raccomandi all’Ansaldo la plastica per il Colombo. La prego ricordarmi al maestro e rassicurar­lo circa la mia latitanza”. Forzano è in missione per il teatro, ma sente di dover giustifica­re la sua assenza. Quel “la prego di ricordarmi al maestro e rassicurar­lo” è un piccolo capolavoro. Non si sa mai che Toscanini chieda di lui mentre non c’è.

(3 - Fine)

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A sinistra, il direttore d’orchestra Antonino Votto. Sotto, il direttore artistico della Scala Mario Labroca con la moglie e Vittorio Gui. Nella pagina successiva, dall’alto: Karl Böhm, Carl Schuricht e Francesco Molinari Pradelli
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Giovacchin­o Forzano (1883-1970), drammaturg­o, regista e librettist­a

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