Violoncello piccolo, il jolly di Bach
Con i suoi “soli”, il Kantor fu il primo ad esplorare tutte le possibilità sonore degli archi, come dimostra l’esistenza del violoncello piccolo, termine che nasconde in realtà diversi tipi di strumento
Nell’uso e nel trattamento degli strumenti del suo tempo, Johann Sebastian Bach era considerato un insuperabile esperto. Ciò è dimostrato più e più volte dalle sue fantasiose, persino sbalorditive orchestrazioni; al contempo le parti solistiche delle sue composizioni testimoniano una straordinaria conoscenza degli strumenti, siano essi a fiato, ad arco, a pizzico o a tastiera. Ai suoi contemporanei, Bach era noto soprattutto come un organista e virtuoso del clavicembalo “di fama mondiale”; il suo secondo figlio Carl Philipp Emanuel affermava che suo padre comprendeva “alla perfezione le possibilità di tutti gli strumenti ad arco”, citando come esempio “i soli per violino e violoncello senza basso”. Fin dalla giovinezza Bach si occupò certamente delle peculiarità tecniche dei diversi tipi di strumenti. In seguito gli esperti musicisti delle cappelle musicali di Weimar e Köthen ebbero modo di stimolarlo in molti modi, ispirandolo a sfruttare gli idiomi di ciascuno strumento per ottenere nuovi timbri e possibilità espressive. I primi anni di Bach a Lipsia (dal 1723) videro un marcato approfondimento del suo interesse verso nuove sonorità e lo sviluppo di idiomi specifici per ogni strumento. Nelle cantate della prima annata (1723-4) egli sperimentò dapprima le sonorità vellutate
dell’oboe d’amore e dell’oboe da caccia. Nella seconda annata (1724-5), la cosiddetta annata delle cantate su corale, al flauto traverso, a cui Bach aveva assegnato in precedenza un ruolo secondario, furono affidate parti estremamente virtuosistiche e impegnative. Un’altra novità di questa seconda annata fu l’introduzione della brillante sonorità del flauto piccolo. Nella seconda annata incontriamo anche, per la prima volta, l’indicazione “violoncello piccolo” in arie caratterizzate da difficili parti solistiche; solo in anni successivi Bach sembra avere usato questo strumento anche nel continuo. È possibile che questo termine fosse usato per indicare diverse tipologie di violoncello, perché la notazione delle parti varia considerevolmente, sia rispetto alla chiave (violino, contralto, tenore o basso) sia anche nel modo in cui la musica è associata alle singole parti: a volte la musica del violoncello piccolo è annotata nella parte del primo violino, cosicché sembrerebbe debba essere suonata dal violinista; più spesso, però, al violoncello piccolo è assegnata una propria parte. Inoltre, in certi casi, il materiale esecutivo di una cantata prevede per lo strumento due parti provviste di chiavi differenti, una in chiave di violino, l’altra in chiave di violino o di basso; in questi casi Bach sembra avere alternato diversi tipi strumentali, oppure scelse un’altra chiave a seconda di chi avrebbe eseguito la parte solistica (un violinista aveva spesso difficoltà a leggere una parte in chiave di tenore o di basso; mentre il violoncellista non aveva dimestichezza con la chiave di violino). La confusione riguardo il materiale esecutivo delle cantate ha suscitato una discussione fino ai giorni nostri. Inoltre, alcuni documenti della seconda metà del Settecento riportano che Bach inventò la “viola pomposa”, una grossa viola accordata come un violoncello con l’aggiunta della corda del Mi. Il termine “viola pomposa”, tuttavia, non compare nelle fonti originali bachiane, ma si trova in diverse opere da camera e concerti di compositori della scuola berlinese, che difficilmente avrebbero potuto essere a conoscenza di uno strumento sviluppatosi a Lipsia. Pertanto la viola pomposa deve essere stato un tipo particolare di viola (tenuto quindi in posizione “da braccio”) la quale, seppur rara, era usata in diverse regioni della Germania. Fonti contemporanee indicano che le prime opere con cui la “viola pomposa” potrebbe essere associata sono le cantate “Bleib bei uns, denn es will Abend werden” Bwv 6, in cui le parti sono annotate nella parte del violino primo principale, e “Jesu, nun sei gepreiset” Bwv 41. D’altra parte, le estese parti per violoncello piccolo della cantata “Also hat Gott die Welt geliebet” Bwv 68 e della Messa in La maggiore Bwv 234, scritte in chiave di basso, sembrano essere state destinate inequivocabilmente a un violoncello piccolo a cinque corde (accordato Do - Sol - Re - La - Mi). Viceversa, le altre parti solistiche per violoncello piccolo annotate su parti separate, hanno un effetto più convincente tecnicamente, ma anche riguardo alla sonorità, quando sono suonate su uno strumento tenuto in posizione “da gamba”. Un’altra considerazione collegata alla questione del tipo di strumento riguarda il modo in cui era combinato con altri strumenti. Le composizioni sopravvissute con viola pomposa di Johann Gottlieb Janitsch, Johann Gottlieb Graun e Georg Philipp Telemann usano lo strumento solo in ensemble. Al contrario, Bach nelle sue cantate preferisce usare il violoncello piccolo come strumento solistico; soltanto in due arie concerta con uno strumento a fiato più acuto. La coesistenza di due diversi tipi di strumenti con la stessa accordatura è supportata dalla ricerca organologica. Johann Adam Hiller (1728-1804) riferisce che, attorno al 1724, il liutaio di Lipsia Johann Christian Hoffmann costruì diverse grosse viole a cinque corde. Inoltre, un inventario della musica da camera del castello del principe di Köthen, cita un “violoncello piculo a cinque corde” costruito da Hoffmann nel 1731. Bach deve aver avuto familiarità con il violoncello a cinque
corde e con il modo in cui era suonato fin dal periodo di Köthen. Le sue Sei Suites “per violoncello senza basso” - che in una copia redatta da Anna Magdalena Bach seguono come “Parte Seconda” i Sei Solo per violino del 1720 - sembrano essere destinate all’intera gamma di strumenti indicati nel primo Settecento come “violoncello”, compreso il violoncello piccolo a cinque corde: la Sesta Suite in Re maggiore Bwv 1012 reca l’annotazione “per cinque corde”. Le dimensioni più piccole e la quinta corda acuta di questo strumento, consentono un approccio esecutivo che sotto molti aspetti richiama quello dei Sei Solo per violino. Così il Preludio fa ampio uso del bariolage, in cui una nota suonata su una corda vuota si alterna rapidamente con la stessa nota suonata sulla corda più grave vicina. Questa tecnica, frequentemente utilizzata con il violino, può essere applicata al violoncello solo con difficoltà. Bach la utilizzò in misura limitata al culmine del suo Preludio della Prima Suite; nella Sesta Suite Bwv 1007, tuttavia, il bariolage diventa un’idea tematica fondamentale assomigliando quindi al Preludio della Partita Bwv 1006. Analogamente l’Allemanda della Sesta Suite, con le sue ampie arcate melodiche intervallate da accordi a tre e quattro note, richiama modelli corrispondenti dei Sei Solo per violino. Il trattamento violinistico può essere sentito maggiormente nella Sarabanda, con i suoi densi accordi e tracce di una conduzione polifonica delle parti. Con le sue opere per strumenti soli senza accompagnamento, Bach si avventurava in un mondo sonoro che pochi compositori prima di lui avevano esplorato e il cui potenziale non era stato fino ad allora nemmeno lontanamente immaginato. Mentre il procedimento di rappresentare gli elementi essenziali di una piena tessitura armonica attraverso una singola linea melodica, spesso spezzata, può risultare riuscito, nei casi migliori solo in forma rudimentale, nelle poche opere che precedono quelle di Bach, pare sia stata proprio questa sfida del mezzo solistico a motivare Bach ad imitare e persino superare la ricca sonorità delle sue opere per organo e per clavicembalo forse anche perché gli esecutori non possono fare altro che lasciar intuire questa ricchezza, che soltanto nell’immaginazione consapevole di un ascoltatore attento può ulteriormente completarsi. La descrizione di Philipp Spitta della Ciaccona della Seconda Partita per violino come il “trionfo dello spirito sulla materia” appare quindi come un’appropriata caratterizzazione dei due monumentali cicli solistici per violino e violoncello. Un’osservazione di Johann Friedrich Reichardt (1752-1814) va nella stessa direzione: egli osservava che la maestria del compositore nelle opere solistiche risiede nella sua capacità di muoversi con la massima libertà e sicurezza entro limiti autoimposti. L’allievo di Bach, Johann Philipp Kirnberger, celebrava soprattutto in queste opere la loro perizia tecnica in senso compositivo. A suo parere l’Alta Scuola di scrittura polifonica risiede nell’arte dell’omissione; egli riteneva che solo colui che ha realmente assimilato i segreti più complessi dell’armonia e del contrappunto li può rappresentare in un’opera in cui solo poche voci sono mostrate. Nella prima parte del suo trattato Die Kunst des reinen Satzes in der Musik (“L’arte della composizione rigorosa in musica”, 1771) Kirnberger, dopo avere discusso le fughe a tre e due voci, arriva a parlare delle opere per strumenti senza accompagnamento: “È tanto più difficile creare una semplice linea melodica senza il benché minimo accompagnamento, in modo così armonioso che è impossibile aggiungervi una voce senza commettere errori; e se così fosse, sarebbe quasi ineseguibile e maldestra. A questo tipo di musica appartengono le sonate senza accompagnamento di Johann Sebastian Bach, sei per violino e sei per violoncello”. La sfida straordinaria che Bach affrontò quando intenzionalmente ridusse la tessitura, consisteva anche nel realizzare senza compromessi l’intera ricchezza armonica e polifonica del suo linguaggio musicale su uno strumento melodico che possedeva solo mezzi limitati di produrre accordi. Questo approccio compositivo trasporta le opere solistiche - benché in un certo senso rappresentino il vertice della tecnica esecutiva idiomatica - quasi nella sfera della musica astratta, a cui si può giungere, evidentemente, seguendo percorsi differenti.
턢L’autore è direttore del Bach-Archiv di Lipsia