Praetorius, ambasciatore d’Italia nella Germania tardo rinascimentale
Nato a 10 chilometri dalla città del Kantor, Michael Praetorius spiegò la musica italiana alla Germania tardo rinascimentale, come mostra il suo trattato, pieno di riferimenti alla nostra cultura. A quattro secoli dalla morte, un musicista da riscoprire a
Gettare uno sguardo al trattato Syntagma Musicum di Michael Praetorius, teorico e compositore dal profilo assai poliedrico, nel quattrocentesimo anniversario della sua morte, aiuta a comprendere la natura del tessuto culturale europeo, poiché troppo spesso ci si dimentica quanto l’assimilazione della musica italiana abbia contribuito alla sua nascita. Come sanno bene i musicologi, il trattato di Praetorius rappresenta uno dei più fortunati del Seicento. Nei piani del suo autore l’opera si sarebbe dovuta articolare in quattro volumi, ma in realtà ne furono pubblicati soltanto tre, dato che il quarto non vide mai la luce a causa della morte dell’autore. Il primo volume (Musicae artis analecta, 1614-1615) è dedicato alla musica sacra; il secondo (De organographia, 1618-1619) è oggi probabilmente il più conosciuto e include, oltre a una dettagliata disamina degli strumenti musicali allora in uso, le ben note tavole illustrative tanto care agli organologi e ai musicisti di musica antica; ma anche il terzo volume (Termini musici, 1618-1619), a un’attenta lettura, si rivela non meno interessante del precedente. Al suo interno infatti si trovano numerosi riferimenti ai maggiori compositori e trattatisti musicali italiani dell’epoca e alle loro opere, nonché innumerevoli termini musicali in varie lingue (ma soprattutto in italiano), accompagnati dalla traduzione in tedesco e/o in latino e da esaustive spiegazioni del loro significato: un’ampia explicatio terminorum rivolta principalmente ai musicisti germanofoni dell’epoca, ai quali si richiedeva di essere aggiornati sulle novità stilistiche del momento, quasi immancabilmente provenienti dall’Italia. Questo volume ci appare dunque come uno specchio in cui si riflette la capillare assimilazione della musica e della terminologia musicale italiana al nord delle Alpi. Ma chi era l’autore di questa monumentale riflessione sullo stato dell’arte musicale alle soglie del terzo decennio del Seicento? “Michael Praetorius C.” (Creutzburgensis, cioè originario di Creuzburg an der Werra, cittadina della Turingia nei pressi di Eisenach), come egli stesso amava firmarsi, era una figura attiva su diversi fronti: come musicista pratico (organista e maestro di cappella del duca Enrico Giulio di Brunswick-Wolfenbüttel), come compositore, e solo in ultima istanza come teorico. Fare musica e riflettere su di essa rappresentavano per lui due aspetti inscindibili e complementari (ma non dovrebbe forse essere sempre così?). All’epoca della stesura di questo volume, Praetorius si sapeva affetto da una grave malattia che di lì a poco lo avrebbe portato alla morte, ed è probabilmente anche per questo che avvertiva l’urgenza di trasmettere ai suoi colleghi musicisti il bagaglio di esperienze musicali pratiche e teoriche che aveva accumulato in tanti anni di studio e di lavoro: esperienze che facevano di lui una figura straordinariamente aperta nei confronti delle innovazioni musicali, ma anche dotata di una spiccata originalità e di un severo senso critico nei confronti dei propri modelli. Sebbene Praetorius non avesse mai oltrepassato i confini dell’area germanofona, nei suoi scritti egli si rivela aggiornatissimo sulle novità stilistiche italiane che iniziavano a diffondersi anche al nord delle Alpi, e questo grazie agli intensi scambi epistolari che egli intratteneva con diversi personaggi residenti in Italia, che gli inviavano le più recenti edizioni di musica italiana. Rileggendo il terzo volume del trattato Syntagma Musicum sorge allora spontaneo chiedersi quale Italia e quale cultura musicale italiana vi si riflettessero, quali centri musicali, quali compositori e quali composizioni fossero noti a Praetorius, e ancora se egli percepisse la realtà musicale italiana in maniera realistica, o invece deformata dalla lente di un’italianità mitizzata. Per prima cosa va rilevato che questo volume è articolato in tre parti, di cui la prima contiene le definizioni dei termini usati in diverse lingue (italiano, francese, inglese e tedesco) per designare le principali forme poetiche, musicali e poetico-musicali. In questa parte, come si può ben immaginare, i termini in italiano sono numerosissimi: concerto, falso bordone, madrigale, stanza, sestina, sonetto, dialogo, canzone, canzonetta, aria, giustiniana, serenata, giardiniera, villanella, fantasia, fuga, sinfonia, sona
ta, padovana, passamezzo, gagliarda, e tanti altri ancora. Nella seconda parte, che tratta i principali argomenti della teoria musicale tradizionale (la notazione musicale, i modi, le trasposizioni) di cui si erano già occupati diversi trattati in lingua latina, i termini musicali nelle lingue moderne (e fra questi quelli in italiano) sono meno numerosi (ma si incontrano comunque indicazioni mensurali in italiano: alla Semibreve, alla Breve). La loro presenza torna a essere cospicua nella terza parte, che spiega diversi procedimenti compositivi della musica moderna avvalendosi ancora una volta della terminologia musicale italiana (parti concertate, coro mutato, ripieno, ritornello, intermedio, bassetto, trillo, gruppo, tremoletto, e persino forte, piano, largo e presto), include una classificazione degli strumenti musicali (dove dei nomi in italiano viene indicata persino la pronuncia), illustra diversi metodi di concertazione e “arrangiamento” applicabili alle moderne composizioni vocali e strumentali e spiega come si debba insegnare ai fanciulli a cantare “all’italiana”. Oltre a ciò, il trattato di Praetorius è fittamente contrappuntato da riferimenti (se ne contano almeno 137) all’Italia, agli italiani, alla lingua italiana e ai più diversi aspetti della poesia, della letteratura e della musica italiana, e rappresenta una testimonianza preziosa per chiunque voglia comprendere come apparissero non solo la musica, ma anche l’Italia e la cultura italiana agli occhi di un musicista, artista e uomo di cultura radicato nella Turingia del primo Seicento, ma desideroso di diffondere questa stessa cultura nei paesi di lingua tedesca e oltre. Laddove le Fiandre sono citate una sola volta, l’Inghilterra e la Francia due e persino la Germania non più di undici volte, l’Italia è menzionata venti volte, talora semplicemente per indicare la posizione di alcune città menzionate nel testo (fra cui la più citata è Venezia), o per precisare le origini o il luogo di attività di alcuni illustri compositori dell’epoca (come Ludovico Grossi da Viadana, considerato un compositore eminente e ricordato per avere denominato le sue composizioni in stile moderno con il termine “concerto”. I riferimenti agli italiani sono ancor più numerosi: se ne contano complessivamente 50. Ma si badi: in più della metà delle occorrenze il termine è impiegato a volte in tedesco (Italiäner, o più raramente Welscher) ma per lo più in latino (Itali), all’interno di locuzioni riferite alla terminologia musicale italiana, quasi a voler ricordare ai suoi lettori che il musicista à la page, a quelle date, doveva saper per lo meno masticare un po’ di italiano. L’aggettivo “italiano” - sia in latino (italicis), sia in tedesco (italienisch) - compare invece 161 volte, mentre la lingua italiana è chiamata in causa 25 vol
te, per lo più in riferimento alla terminologia musicale (“italienische Termini Musici”, “italienische Vocabula”, “italica Vocabula”). Oltre a ciò, Praetorius menziona almeno 108 compositori italiani, per lo più viventi e attivi in tutta la penisola, seppur prevalentemente nelle regioni settentrionali. Fra i compositori d’area veneta e lombardo-padana figurano musicisti attivi nelle principali città del nord dell’Italia, fra cui Torino (Sigismondo d’India), Genova (Simone Molinaro), Milano (Giovanni Battista Bovicelli, Andrea Cima), Brescia, Mantova, Verona, Padova, Venezia (Andrea e Giovanni Gabrieli e Claudio Monteverdi, di cui sono menzionati gli Scherzi musicali), Parma (Claudio Merulo), Reggio Emilia, Modena e Bologna (Adriano Banchieri), mentre fra quelli attivi nell’Italia centro-meridionale sono menzionati, fra gli altri, Agostino Agazzari (ricordato insieme a Girolamo Giacobbi e definito insigne), Giovanni Francesco e Felice Anerio, Giulio Caccini, Carlo Gesualdo da Venosa, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Paolo Quagliati, Giovanni Maria Trabaci e Antonio Il Verso. Non da ultimo, Praetorius menziona anche alcuni teorici musicali italiani (fra cui Giovanni Maria Artusi, Agostino Agazzari, Adriano Banchieri, Giovanni Battista Bovicelli e naturalmente Gioseffo Zarlino), quasi tutti conosciuti anche come compositori. All’interno di uno scritto di argomento teorico-musicale ci si sarebbe forse attesi di incontrare un maggior numero di teorici: ma l’esiguità del loro numero si può ben comprendere, se si pensa che Praetorius era in procinto di pubblicare il quarto tomo del Syntagma Musicum, interamente dedicato alla teoria musicale e basato sugli scritti dei più celebri trattatisti italiani. Tuttavia i musicisti e i teorici musicali non esauriscono la galleria degli esponenti della cultura italiana chiamati a sfilare in queste pagine: nello stesso volume sono menzionati anche i tre più illustri esponenti della poesia e della letteratura italiana - Dante, Petrarca (di cui sono integralmente riportati, non senza strafalcioni, cinque componimenti poetici tratti dal Canzoniere) e Boccaccio - oltre a Pietro Bembo, che deve la sua notorietà soprattutto alla diffusione del petrarchismo. A questo punto rimaniamo sorpresi dal fatto che i maggiori poeti vissuti in epoca più recente - come Boiardo, Ariosto e Tasso - e i contemporanei Guarini e Marino non siano mai menzionati nelle sue pagine. La rilettura del terzo volume del Syntagma Musicum ha dunque mostrato non solo quanto già nei primi decenni del Seicento la disseminazione della cultura e della terminologia musicale italiana fosse stata capillare entro i confini tedeschi, ma anche quanto avesse contribuito alla genesi di uno stile e di un lessico musicale pan-europei. In un’ottica simile, questo volume ha molto da dire non solo agli addetti ai lavori, ma anche a chiunque voglia comprendere quanto la musica, autentico collante culturale e alle volte sola vera religio, abbia saputo oltrepassare i confini politici e confessionali dell’Europa del primo ‘600, contribuendo significativamente alla genesi di un tessuto culturale condiviso ben prima che l’opera settecentesca iniziasse a portare l’italiano nel mondo.턢