CASELLA SUITE DA “LA GIARA” BEETHOVEN
SINFONIA N. 3
SOLISTA Dave Monaco
DIRETTORE Enrico Onofri
ORCHESTRA Toscanini
PIAZZA Duomo /
Negli ultimi anni la musica è stata la Cenerentola del Festival dei due mondi. Con la nuova direzione di Monique Veaute sembrerebbe uscire dal limbo in cui era stata collocata. Alcuni progetti sono stati sospesi a causa del Covid. Ma la residenza quinquennale di due orchestre del calibro della Budapest Festival e dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia lascia ben sperare. Ma poi cos’è Spoleto? L’espressione massima - nel senso della macchina organizzativa, dell’ambizione artistica, della reputazione internazionale - del festival all’italiana, dove la musica (il teatro, la danza) si sorseggia in luoghi speciali dal punto di vista artistico e architettonico. Per dire: trascorrendo alcuni giorni al Festival si possono letteralmente visitare e “vivere” monumenti di eccezionale valore: il Duomo con la sua meravigliosa facciata e gli interni con Pinturicchio, Lippi e Valadier, la bellissima chiesa romanica di Sant’Eufemia, l’antico teatro romano con l’abside paleocristiano di Sant’Agata, gli spazi monumentali della sconsacrata San Simone sono tutti a portata di vista. Il contrario di quanto accade a Salisburgo o a Bayreuth, che invece puntano tutto sulla purezza del risultato sonoro. Sulla musica posta sotto la teca di teatri e auditorium, talvolta inguardabili.
Il suono, certo, è “il” problema. Alcuni spazi però lo migliorano: nelle navate di Sant’Eufemia il suono barocco dei solisti della Budapest Festival Orchestra viene restituito con la giusta risonanza, che negli spazi “secchi” di un sala da concerto non respirerebbe allo stesso modo. I professori della Budapest maneggiano in modo disinvolto archi barocchi, violoni, viole da gamba, organi portativi in legno. Vivaldi, Uccellini, Biber, Purcell, suonati così, hanno bisogno di riverberi più generosi. In piazza Duomo è il contrario. Qui l’amplificazione è necessaria e opportuna, se affidata al direttore. Per dire, nel meraviglioso concerto d’inaugurazione affidato a Ivan Fischer, la presenza simultanea nel Boeuf sur le toit di Milhaud di ritmi brasiliani affidati agli archi e di
fanfare politonali ai fiati era sostenuta e sbalzata dal contributo dei microfoni. Senza si sarebbe persa. Ugualmente in Ravel Fisher ha potuto dedicarsi allo chic di dettagli infinitesimi, regalando una sua
Valse più votata allo charme che non alla frenesia e alla luce abbagliante sentita in altre celebri letture. Per non dire delle stupefatte finezze con cui ha accompagnato la voce di Luciana Mancini in
Shéhérazade.
Più misurata la scelta tecnologica nel Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia. Un Oedipus Rex squadernato con efficacia e nettezza da Pascal Rophé, forse in modo non abbastanza radicale per un’opera-oratorio che Stravinskij voleva marmorea come una “natura morta”. Sull’ottimo coro maschile, posto rischiosamente di lato, si stagliavano le voci dei solisti (Mikhail Petrenko, Andrea Mastroni, John Irvin; più spento l’Edipo di Allan Clayton), in particolare quella di Anna Caterina Antonacci, Giocasta toccante e partecipe anche nel raggelato latino del libretto.
La sagoma di una Cattedrale - un gioiello che non ci si stanca di guardare anch’esso - è stata pure lo sfondo del neonato Festival Toscanini a
Parma. Influenzati dal rigore del Maestro (a proposito: gli specialisti del luogo giurano che “all’aperto si gioca a bocce” il mitico Arturo non lo disse mai), ha fatto a meno dell’amplificazione, confidando su una piazza dalle dimensioni raccolte e dalla vicinanza della facciata. Il risultato sonoro è perfettibile. Perché l’organico ridotto voluto da Enrico Onofri per l’“Eroica” di Beethoven è penalizzato. All’aperto Beethoven l’avrebbe rimpolpato? Onofri peraltro, con una Terza eccitata e molto contrastata, ha di nuovo dimostrato la sua bravura di concertatore e trascinatore d’orchestre. E lo scenario offerto per il programma - che si completava con la rara Suite da “La Giara” di Casella valeva comunque il viaggio.