Voli ONIRICI
Una nuova opera su Charlotte, imperatrice del Messico che visse scrivendo lettere al marito morto
FUENTES
CARLOTA ZIMMER
INTERPRETI J. Vargas, A.C. Fuentes
DIRETTORE Peter Rundel
ORCHESTRA Haydn di Trento e Bolzano
★★★★
Dopo la prima in Austria nel 2018 e la ripresa in Messico nel 2019, l’opera di Arturo Fuentes Carlotas Zimmer è approdata a Bolzano. Monodramma al femminile, racconta la triste vicenda della principessa belga Charlotte, che fu imperatrice del Messico, come moglie di Massimiliano I, e poi visse per 60 anni in Europa, tra i castelli Miramare e Bouchout, sprofondando nella follia dopo la fucilazione del marito, al quale continuò a scrivere un’infinità di lettere. Morì nel 1927, l’anno della prima trasvolata atlantica di Lindbergh, sognando che un aereo potesse ricongiungerla all’amato Max. Inizia infatti con il rumore di un aereo l’opera di Fuentes, che dà forma musicale a questa storia di un’attesa infinita, ed esplora il mondo oscuro e solitario di una donna rinchiusa nella sua camera da letto. Il compositore, che ha curato anche testo (tratto da Fernando del Paso), regia, scene e video, ha moltiplicato per tre la protagonista, affidandola a un soprano, che interpreta Carlota da adulta (a Bolzano era la colombiana Johanna Vargas, bravissima sia come cantante che come attrice), a una bambina che rappresenta il suo alter ego da piccola (una sorprendente Alice Crepaz Fuentes, undicenne figlia del compositore), e una donna sperduta nel deserto messicano di Chihuahua, in un video in bianco e nero (l’attrice Sandra Victoria Aguilar). Tutto lo spazio scenico era occupato dalle lettere di Carlota, un mare di carta punteggiato da oggetti che ne affioravano come isole, come gli approdi nei quali si svolgevano i vari episodi dell’opera. La cantante affrontava una parte impervia, che spaziava tra emissioni diverse, dai suoni gutturali ai virtuosismi barocchi (suonava anche un piccolo flauto preispanico), esplorando il personaggio nelle sue molteplici sfaccettature psicologiche, anche con tratti grotteschi, dall’humour nero. La parte strumentale procedeva per bolle armoniche, con una scrittura densa ed elementi eterogenei (ottima la direzione di Peter Rundel), e con l’elettronica usata come un fondale sonoro. Non sempre la parte musicale e quella puramente teatrale “ingranavano” alla perfezione, ma l’opera funzionava molto bene, con una grande presa emotiva.