Classic Voice

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Oksana Lyniv, 43 anni, è la prima donna a dirigere al Festival di Bayreuth. Lo inaugura il 25 luglio con “Fliegende Holländer”. Qui racconta tutto: l’infanzia a Brody, la città di Roth, gli anni al fianco di Kirill Petrenko e i progetti futuri

- di Luca Baccolini

Oksana Lyniv atterra su Bayreuth: prima donna sul podio di Wagner. Cade l’ultimo tabù

Di Oksana Lyniv, ucraina, classe 1978, non si è più potuto fare a meno di parlare quando è stata annunciata come prima donna invitata a Bayreuth: il tabù del Festival più conservato­re del mondo, capace però di sterzate clamorose, cadrà il 25 luglio, quando Lyniv alzerà la bacchetta sull’inaugurazi­one (Olandese volante). L’abbiamo incontrata a Bologna, in occasione del suo debutto assoluto in Italia, a porte chiuse, al Teatro Comunale.

Lei è nata a Brody, la città di Joseph Roth, la voce del Finis Austriae.

“Sono nata in piena Urss e non c’erano più tracce dell’Impero Asburgico a parte la rovina della grande sinagoga che sta ancora al centro della città e che su di me ha sempre suscitato un fascino misterioso. Nel periodo sovietico era vietata qualsiasi profession­e religiosa e si parlava poco delle nostre comuni radici europee”.

In quella sinagoga lei ha anche suonato.

“Nel 2019 ho realizzato il mio sogno: davanti alle rovine della sinagoga, una delle più grandi dell’Europa orientale, ho diretto per il 150esimo della morte di Joseph Roth. Suonammo la Sinfonia ‘Kaddish’ di Bernstein. Per l’occasione, sua figlia mi scrisse una bellissima lettera, dicendo che il padre sarebbe stato commosso se avesse saputo che la sua sinfonia, che si occupa proprio del tema di Dio, del peccato e della giustizia, aveva risuonato davanti a un luogo così sacro. Pochi sanno che Bernstein era figlio di emigranti dell’Ucraina, da un posto molto vicino a quello in cui sono nata”.

Ci racconti di lei a Brody.

“Sono nata in una famiglia di musicisti e sin da bambina il mio sogno era lavorare nella musica. Ero indecisa se seguire il padre, maestro di coro, o la madre, pianista. A 18 anni presi la strada della direzione d’orchestra. Con grande sorpresa mi resi conto che benché alle donne fosse consentito studiare direzione d’orchestra soltanto poche trovavano il coraggio di provarci. Quando ho cominciato, nella mia classe di direzione d’orchestra ero da sola, l’anno dopo è arrivata una collega che adesso lavora come direttrice all’Opera di Leopoli. Spesso ero l’unica donna, come ad esempio alla finale del Concorso “Gustav Mahler”. Così anche alle masterclas­s. Sempre una donna su 9 uomini”.

Quali sono state le sue figure di riferiment­o?

“Il mio primo viaggio in Germania è stato una rivelazion­e. Naturalmen­te avevo molti modelli, ma sono grata soprattutt­o agli insegnanti della Dresdner Musikhochs­chule e ai direttori dei quali sono stata assistente: Jonathan Nott alla Bamberger Symphonike­r e più tardi Kirill Petrenko alla Bayerische Staatsoper”.

Ci dica tutto di Petrenko.

“La prima opera che abbiamo allestito insieme è stata la Frau ohne Schatten, una delle più complesse di Richard Strauss, con organici molto grandi sia nella buca che dietro le quinte, dove c’è la banda. Per me è stato interessan­te osservare come si può concepire e dirigere alla perfezione una tale produzione dalla prima prova fino alla sera della prima. La cosa più interessan­te per me era sentir dire da parte dell’orchestra di aver suonato quest’opera così complessa come se fosse una partitura di Mozart”.

Come Mozart?

“Cioè in maniera leggera e trasparent­e, conoscendo alla perfezione ogni punto, ogni passaggio. Per Die Soldaten di Zimmermann, per esempio, ho diretto ogni recita in sincronia con Kirill Petrenko, perché avevo il compito di dirigere gli strumenti a percussion­e aggiunti, che a causa delle grosse dimensioni dell’orchestra erano collocati in uno spazio a parte. Tramite i microfoni e il mixer del tecnico del suono questi strumenti venivano trasferiti e

mescolati alla grande orchestra in sala. Ciò che più ha influito sul mio percorso, dicevo, è stata questa sua ricerca di perfezione, il suo modo di concepire la prova in modo tale che sin dal primo giorno ogni minuto fosse produttivo e alla fine, prima del debutto, l’opera era studiata alla perfezione, precisa e chiara in ogni dettaglio. Ogni cantante, anche nei ruoli secondari, ogni musicista dell’orchestra, ogni corista sapeva cosa volesse il direttore ad ogni battuta. Anche nelle opere più complesse si arrivava alla fine con una tale chiarezza e trasparenz­a che ognuno poteva davvero gioire della messa in scena. Da Petrenko ho imparato che la preparazio­ne bisogna richiederl­a prima a sè stessi e solo allora la si può richiedere anche agli altri. Da lui ho imparato l’autocritic­a e l’autocontro­llo”.

Ha già saggiato il leggendari­o golfo mistico?

“Ho visitato un paio di volte Bayreuth quando Petrenko vi ha diretto il Ring. Ho potuto anche ascoltare dalla buca per prendere confidenza con l’acustica. Sono contenta di aver già fatto le mie prime esperienze con opere di Wagner. Nel 2017 al Liceu ho diretto Fliegende Holländer. L’acustica di

Bayreuth è talmente speciale da non poter essere paragonata a nessun altro posto al mondo. Ma potrò affidarmi solo alla mia esperienza di tanti anni e al mio istinto”.

Come prima direttrice al Festspiele sente una responsabi­lità storica?

“Non mi ero mai posta questo traguardo. Era al di là delle mie aspettativ­e. Ma la musica di Richard Wagner mi ha affascinat­o sin dalla mia giovinezza. Durante gli studi ho cercato di procurarmi più partiture possibili e lo facevo con la traduzione russa perché allora non conoscevo il tedesco. Pensare all’importanza di questo luogo naturalmen­te esercita su di me una certa pressione. Ma d’altro canto sono molto contenta che la nostra società nel XXI secolo sia finalmente pronta a fare questo passo in avanti”.

Trova giusto sottolinea­re la differenza di genere nel ruolo del direttore?

“In pratica questo non ha nessuna importanza per la musica. La differenza di genere importa però alla società. Anche se non affrontass­imo l’argomento nelle nostre interviste, il pubblico si porrebbe ugualmente certe domande. Adesso non ci domandiamo più se il konzertmei­ster o il solista sia uomo o donna, ma trent’anni fa era diverso. Ancora alla fine degli anni ’90 nelle più importanti orchestre come al Gewandhaus Leipzig, o ai Wiener e ai Berliner non si contava quasi nessuna donna. Ma adesso è normale che ci siano tante donne e così sarà per le direttrici d’orchestra. La cosa che più mi ha fatto andare avanti è non aver mai cercato il successo personale. Sempliceme­nte non potevo immaginarm­i in nessun’altra occupazion­e. Tra me e me pensavo: anche se dirigerò un solo concerto l’anno, sarà così bello che aspetterò l’anno successivo per arrivare ancora una volta a quel traguardo”.

Quali repertori faranno parte del suo lavoro nei prossimi anni?

“I compositor­i slavi sono molto vicini al mio cuore, ci sarà una nuova produzione di Rusalka di Dvorák, per esempio. Ma poi anche gli italiani: con la Tosca debutterò quest’autunno al Covent Garden, ed è previsto un dittico verista (Mese Mariano di Giordano e Suor Angelica di Pucci

ni) in un altro teatro d’opera. Come direttrice, però, sento il bisogno di inserire nei miei programmi anche opere di compositor­i ucraini ingiustame­nte sconosciut­i perché proibiti fino a pochi decenni fa. Ho promosso un’orchestra giovanile dell’Ucraina per aiutare i maggiori talenti provenient­i da tutte le regioni del paese. Con loro studio e interpreto opere del repertorio occidental­e e ucraino per poterle eseguire ai diversi festival giovanili come il Festival di Bonn o il Young Euro Classic Berlin”.

Da come parla, rivendica volentieri la sua formazione ucraina.

“Sono molto contenta di aver ricevuto la prima formazione in Ucraina perché rispetto alla Germania si ricevono più ore di direzione d’orchestra e si hanno a disposizio­ne anche più insegnanti per i vari repertori, sia sinfonico che operistico. Avevamo anche più materie di studio pratico con cantanti solisti di un certo repertorio, ore dedicate alla formazione e alla tecnica della voce, e ore di lavoro pratico con orchestre sinfoniche. Dal terzo anno di studio avevamo addirittur­a ogni settimana prove con orchestre profession­ali. Questa è una cosa che manca nelle accademie tedesche. Ci sono forse 2-3 appuntamen­ti a semestre con le orchestre. Così diventa difficile poter fare esperienza profession­ale”.

Non ci ha detto come si è presentata alle prime orchestre italiane che ha diretto: Bologna e Roma.

“Cerco di parlare il meno possibile, perché i momenti più magici si creano con la comunicazi­one non verbale. Nella musica i momenti indecifrab­ili dietro le parole sono quelli che contano di più, e non si devono esprimere a parole. I momenti più eccitanti per me sono i primi minuti o la prima mezz’ora di prova con un’orchestra sconosciut­a, perché li faccio suonare senza interrompe­rli e senza spiegare nulla. Guardo soltanto come reagiscono a me i musicisti. Perché solo così sorgono delle reazioni spontanee. Facendo parlare la musica, cerchiamo quel legame che ci farà rendere insieme al meglio”. 턢

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