Reportage
Il “Quid” che fa la differenza è suonare dal vivo. E toccare i nodi profondi delle composizioni. Come faceva Géza Anda. A questi principi s’ispira il concorso di Zurigo a lui intitolato. Che ora riparte dalle origini
Nel backstage del concorso “Géza Anda”, a caccia di pianisti “anti” atletici
Fondato nel 1979 da Hortense Anda-Bührle, vedova del grande pianista Géza Anda, il “Concours Géza Anda” ha vissuto in questo 2021 un’edizione particolarmente importante, poiché coincidente con i 100 anni dalla nascita del grande musicista ungherese di cui questa competizione porta non soltanto il nome, ma anche lo spirito. Nel corso di oltre quarant’anni, infatti, questo concorso si è sempre posto l’obiettivo di premiare pianisti che si avvicinassero alle caratteristiche di Anda, musicista in possesso di un repertorio estremamente vasto e Kulturmensch in grado di avere uno sguardo profondo sulla dimensione propriamente artistica delle opere che interpretava. Non si è mai trattato dunque di una gara di meri pianistiatleti o di figure iper-specializzate in repertori limitati, ma di un concorso che favorisce la crescita di musicisti completi. Ce l’ha ricordato uno dei giurati di questa edizione, il brasiliano Ricardo Castro: “Il repertorio richiesto dal concorso è molto vasto e impegnativo. Ciò significa che qui premiamo personalità strutturate, non semplici fenomeni ossessionati da un solo tipo di repertorio. Il fulcro è il grande repertorio mitteleuropeo, che richiede non solo abilità, ma anche una particolare cultura musicale. Il vincitore di questa edizione, Anton Gerzenberg, ha mostrato fin dalle prime prove, in particolare con l’interpretazione della Sonata op. 110 di Beethoven, e poi con un eccellente Brahms, di possedere quella maturità che fa la differenza fra un fenomeno passeggero e un pianista lungimirante”. Non è forse un caso che in finale siano arrivati tre pianisti di area europea: oltre al tedesco Gerzenberg, l’inglese Julian Trevelyan (secondo) e il ceco Marek Kozák (terzo). Si tratta di un’eccezione nel panorama concorsistico attuale, in cui il pianismo dell’estremo Oriente è atleticamente dominante sulla “vecchia Europa”, che evidentemente conserva però ancora un “quid” essenziale quando si tratta di andare a fondo in un repertorio che va da Bach a Bartók e oltre. I meriti del “Géza Anda” vanno però quest’anno ben oltre il fatto di proporre, come sempre, un concorso di particolare spessore culturale: questa edizione è stata un piccolo miracolo, poiché si è svolta tutta “in presenza”, in un momento in cui farlo equivaleva quasi a scalare l’Everest. Il nuovo segretario artistico, Markus Wyer, sottolinea che “la cosa più importante era sopravvivere al covid e riuscire a fare il concorso dal vivo, fisicamente, dall’inizio alla fine. La musica è davvero musica solo quando risuona dal vivo e il carisma dei candidati si può percepire solo live. Quest’anno, in occasione della quindicesima edizione, che coincideva anche con il centenario di Anda, non potevamo rinunciare a un’edizione vera e viva: siamo felici di esserci riusciti”. Wyler ricorda anche un altro aspetto fondamentale, che dovrebbe a nostro avviso essere oggi presente in tutti i con
corsi: “La fondazione Géza Anda, una volta premiati i vincitori, non li lascia al loro destino. La fine del concorso coincide con l’inizio del vero lavoro: facciamo mentoring, ovvero ci impegniamo per trovare concerti ai vincitori e anche ad altri candidati, cerchiamo opportunità perché possano mettersi in luce. In questo particolare momento ciò è doppiamente importante: questi giovani infatti non hanno avuto alcuna possibilità di suonare nel pandemico 2020. A ciò si aggiunge il fatto che gli organizzatori di concerti, avendo perso denaro durante la pandemia, hanno avuto spesso paura nel reclutare giovani nomi per la stagione 2021-2022. Se avessimo, a causa del covid, spostato precauzionalmente questa edizione al 2022, per i ragazzi sarebbe stato uno scacco terribile: probabilmente avrebbero iniziato a suonare nel 2024, dopo più di tre anni di stop”. Wyler ha poi sottolineato l’amicizia del concorso con alcune istituzioni italiane che offriranno occasioni ai premiati o ai candidati italiani passati alle fasi finali, quali il Festival Internazionale di Musica da Camera di Cervo e un ciclo di giovani pianisti proposto dal Lingotto di Torino.
Il Concours Géza Anda ha da sempre un legame forte con l’Italia: non può essere che così, data la passione che i coniugi Anda avevano per l’arte, in particolare quella figurativa. Nel palmares del concorso troviamo non a caso tre pianisti italiani di particolare spessore, affermatisi consecutivamente fra il 1994 e il 2000: Pietro De Maria, Corrado Rollero (morto tragicamente e ancora oggi ricordato con profondo affetto dagli zurighesi) e Filippo Gamba. De Maria ha fatto quest’anno parte della giuria, presieduta da Gerhard Oppitz, e ha sottolineato il bilancio “molto positivo, con finalisti di livello davvero alto. Mi ha stupito osservare la concentrazione e l’autorevolezza di questi giovani pianisti, che hanno affrontato un concorso molto impegnativo senza aver potuto provare i pezzi prima del concorso: solitamente un giovane fa concerti o piccole esibizioni pubbliche prima di una competizione, ma con la pandemia non è stato possibile”. De Maria ha anche ricordato la particolare atmosfera conviviale di questa manifestazione, che fa sentire i candidati come in famiglia: innanzitutto perché sono proprio le famiglie zurighesi a dare ospitalità ai concorrenti, sia per lo studio sia per l’alloggio. “Non è vero - ha affermato De Maria - che i giovani sono solo dei fenomeni e delle macchinette o che manca loro la personalità. Sarò controcorrente, ma io penso quasi il contrario: noto moltissima originalità e un carisma scenico notevole. Ciò è molto bello, ma c’è un rischio: che la ricerca di originalità diventi fine a sé stessa, mettendo talvolta in secondo piano l’espressione di un messaggio musicale profondo”. E proprio questa profondità del “messaggio” continua a essere la priorità del “Géza Anda”.턢