Il cd allegato
Carlo Ipata racconta Vivaldi, stregato dal traversiere che dipingeva i suoni
ACarlo Ipata, protagonista del cd inedito allegato a “Classic Voice”, si devono innumerevoli scoperte di autori barocchi dimenticati, da Gasparini a Cesti, da Melani a Barsanti. Questa volta la sua indagine si sposta su Vivaldi, inesauribile campo d’indagine. Stavolta non è il violino, ma il flauto traverso, ad animare la ricerca.
Cosa sappiamo del rapporto tra Vivaldi e il flauto, che certamente non fu il suo strumento d’elezione?
“Sappiamo, dal bel ritratto conservato a Bologna, che Vivaldi teneva molto alla doppia immagine di violinista, con lo strumento saldamente abbracciato a sinistra, fra l’altro con un avanzo di corda disordinatamente arricciato sui piroli, e quella di compositore, con la penna d’oca nella mano destra. Ma Vivaldi era anche insegnante presso l’Ospedale della Pietà dove l’altissimo livello delle Pute, fra le quali una certa Lucieta Traversiè (come si legge nei registri del 1707) gli dà modo di scatenare la propria fantasia mettendola al servizio del nuovo strumento detto traversiere. E ne intuisce subito le capacità tecnico-espressive utilizzandolo nei più svariati contesti: come ‘altra voce’ nella arie obbligate (dell’Orlando e del Laudate Pueri), nella musica da camera e naturalmente nei molti Concerti di cui l’Op. X rappresenta la prima raccolta del genere mai pubblicata. Era il 1729”.
Da dove veniva il traversiere?
“S’era diffuso in Europa come strumento a fiato alternativo al flauto dritto, fin dai primi anni del ‘700. Lully lo utilizza per la prima volta in Francia con la denominazione di Flute d’Allemagne nel 1681 nell’opera Le Triomphe de l’amour. In breve si conquista un posto stabile presso compositori come Blavet, Bach, Telemann e molti altri. In Italia lo ritroviamo a Roma nel 1708 nell’organico della prima esecuzione della Resurrezione di Handel, mentre è del 1728 l’assunzione presso la Pietà di Venezia di Ignazio Siber come maestro di traversiè. Il traversiere era quindi ben radicato in Italia a partire dai primi decenni del secolo se pensiamo che a Napoli troviamo una cospicua produzione di concerti da parte di compositori come Sellitti,
Leo, De Majo, Rava, Palella, Geraso ai quali ho dedicato le mie ricerche negli ultimi anni. A Venezia Gasparini scrive un bel concerto per traverso che nel movimento centrale di Siciliana anticipa la scrittura vivaldiana del Gardellino”.
Lecito quindi pensare che, in quanto strumento d’importazione, non ci fossero molti strumentisti italiani in grado di suonarlo...
“Nel suo trattato del 1752 Quantz lamenta la scarsa preparazione degli strumentisti a fiato italiani e infatti alla Pietà di Venezia vennero chiamati insegnanti di oboe d’oltralpe. Uno di questi, Ignaz Siber, sarà assunto nel 1728 anche come Maestro di traversiè, probabilmente avendo dato prova delle sue abilità eseguendo l’anno prima la difficilissima aria di Ruggero “Sol da te mio dolce amore” da Orlando Furioso. Fra le Pute della Pietà, Lucieta, dedicataria di altri concerti per traverso, potrebbe essere stata una delle prime interpreti del repertorio vivaldiano. Sappiamo che l’orchestra di Dresda fu uno dei centri di maggiore diffusione dello stile italiano e, tramite il violinista Pisendel, dell’opera di Vivaldi. In quella orchestra suonarono alcuni dei principali virtuosi di traversiere dell’epoca, quali Johann Martin Blochwizt e Pierre-Gabriel Buffardin, destinatario fra l’altro della parte solistica del Laudate Pueri Rv 601 e della cantata All’Ombra di Sospetto Rv 678”.
Cita Quantz, l’insegnante di Federico II, il principale “sponsor” del flauto nel Settecento.
“Il caso di Federico II, che poteva permettersi di pagare profumatamente un insegnante come Quantz e, molto meno, un accompagnatore al cembalo quale C.P.E. Bach, è sicuramente emblematico della cultura dell’epoca. Del mirabile intreccio di politica, arti, scienza e musica della corte di Federico, è centrale l’incontro con Johann Sebastian Bach, che nel 1747 fa visita al giovane re flautista. La famosa Offerta Musicale che ne segue non è altro che un compendio di retorica donata dal vecchio Kantor al Monarca illuminato per mostrargli come, attraverso la musica, si possa (e di debba) organizzare il pensiero. Qualcosa a cui aspirare come modello di vita, ben oltre il dialettalismo salottiero dei concerti serali”.
Ma tornando a Vivaldi, nell’opera X affiora un’idea molto precisa di natura: come descriverebbe questo rapporto?
“Nei tre concerti tematici dell’Op. X Vivaldi fa un uso combinatorio di elementi ritmici e armonici per descrivere i fantasmi ne La Notte, le onde e la risacca marina nella Tempesta di mare e ancora il tempo immobile del sonno de La notte (ripreso con altra tonalità proprio da L’Estate), fino al cinguettio della cadenza per flauto all’inizio del Gardellino. Va ricordato che l’esecuzione ai Concert Spirituel delle sue Stagioni, con lui stesso come solista, fu una vera e propria esplosione, che anni dopo raggiunse quegli enciclopedisti che teorizzavano un ritorno alla natura”.
Esistono lavori per flauto vivaldiani non conosciuti o non ancora registrati?
“Difficile saperlo. Recentemente è stato trovato in Inghilterra un concerto per flauto registrato dal talentuoso Alexis Kossenko. Sappiamo che molta musica di Vivaldi purtroppo è andata dispersa. Per fortuna l’amico Federico Maria Sardelli aggiorna costantemente il nuovo catalogo vivaldiano della Bärenreiter. Recentemente è stata inserita una Trio sonata per due violini attribuita a Vivaldi e ritrovata da me a Pisa. Le sorprese non sono finite”.
Alla provocazione di Igor’ Stravinskij (“Vivaldi scrisse 400 volte lo stesso concerto”) cosa risponderebbe?
“Quando ero ragazzo si usava dire durante i cortei ‘non rispondete ai provocatori!’, quindi tendenzialmente non avrei una risposta, ma penso che Stravinskij avesse all’epoca poche informazioni su Vivaldi. Ricorderei però che l’effetto di rottura che sul pubblico ebbe l’esecuzione delle Stagioni ai Concerts Spirituels fu lo stesso che, due secoli dopo, divise e scandalizzò il pubblico parigino dopo la sua Sagra”.턢
Strumento d’importazione, il traversiere trova in Vivaldi uno dei pionieri italiani, e nella sua allieva Lucieta la prima interprete. Il suo timbro evoca il mare, gli animali e addirittura i fantasmi