Architetture
La fortunata immagine ottocentesca della “musica pietrificata” ha origini molto più antiche, che attraversano l’intera civiltà occidentale, dai miti greci fino a Le Corbusier, che tratta Xenakis come un collega architetto
Musica pietrificata: quando compositori e architetti si scambiano i ruoli
Nella teoresi tedesca del primo Ottocento la metafora che definiva l’architettura “musica pietrificata” (versteinerte) oppure “congelata” (gefrorene o erstarrte) ha molti padri putativi fra cui Goethe, Clemens Brentano, i fratelli Schelling. Minor fortuna toccò alla speculare formula “musica, architettura liquefatta” proposta ad esempio dallo storico e compositore austriaco August Wilhelm Ambros (1816-1876). Ma già Schopenhauer si era mostrato scettico, perché a suo dire “l’architettura esiste solo nello spazio senza alcuna relazione col tempo, e la musica solo nel tempo senza rapporto con lo spazio”. Concedeva però, visto che “gli estremi si toccano”, qualche parentela delle due arti in termini di simmetrie della forma. L’idea affondava le sue radici molto più indietro nel tempo. Per non parlare del mito greco di Anfione che cantando al suono dalla cetra avrebbe edificato le mura di Tebe, la speculazione numerologica di Pitagora, recepita da Platone e da Aristotele, trovò infine sbocco pratico in Vitruvio. Nel primo libro del suo trattato De Architectura, dove allinea il vasto catalogo delle competenze necessarie ad un buon architetto, il favorito di Augusto scrive anche: “Deve capire qualcosa di musica, onde essere informato sulla teoria del suono e i rapporti matematici delle note”. Ricavandone poi inediti corollari pratici nella progettazione di teatri, organi idraulici e macchine da guerra. Nel Medioevo, sull’onda lunga di filosofi neoplatonici della tarda antichità come Boezio, Cassiodoro e Agostino, la chiesa abbaziale di Fontenay - edificata dal 1130 al 1147 su progetto attribuito a san Bernardo di Chiaravalle - incorpora nelle sue proporzioni di pianta e alzato le consonanze fondamentali di ottava, quinta e quarta. Un’architettura “armonizzata”, elegante nell’essenzialità delle sue linee disadorne, che si diffuse con analoghe caratteristiche in molte posteriori abbazie cistercensi sparse dall’Irlanda alla Sicilia e dal Portogallo alla Svezia. Col Rinascimento e la riscoperta di Vitruvio, il concetto di forma armonica degli edifici diviene una costante del pensiero architettonico occidentale. Leon Battista Alberti (1404-1472) dedica la terza parte del trattato De re aedificatoria alla bellezza (venustas), definendola come “concerto di tutte le parti accomodate insieme con proporzione e discorso”. Nella facciata di Santa Maria Novella utilizzò consonanze “apollinee” come l’ottava e la quinta, ma nel trattato suggerì anche più ardite progressioni dissonanti di due quinte (4:6:9) o di due quarte (9:12:16). Il mottetto isoritmico Nuper rosarum flores, composto da Guillaume Dufay per la consacrazione della cattedrale di Firenze nel 1436, si presenta con una struttura esprimibile nella formula proporzionale 6:4:2:3, ma sul suo significato simbolico è divampata una guerra fra studiosi. Riflette le misure di Santa Maria del Fiore o non piuttosto quelle del biblico tempio di Salomone, registrate nel Primo Libro dei Re? Oppure nessuna delle due, come in ultimo sostiene il portoghese Tiago Simas Freire, architetto, musicologo e concertista? Il quale propone di riformulare le proporzioni del mottetto in un 3:2:1:1 esprimente l’armonia pitagorica delle sfere celesti, come né il musico letterato Dufay né l’architetto umanista Brunelleschi potevano ignorare. Nel secolo successivo sarà il veneto Andrea Palladio a canonizzare una perfetta omologia delle due arti scrivendo nel Quarto libro dell’architettura: “Secondo che le proportioni delle voci sono armonia delle orecchie, così quelle delle misure sono armonia degli occhi nostri, la quale secondo il costume sommamente diletta, senza sapersi il perché fuori da quelli che studiano di sapere le ragioni delle cose”. E quindi disegnò grandi sale e stanze accessorie in base alle proporzioni pitagoriche corrette secondo le teorie di Gioseffo Zarlino. Nel 1995 il britannico Karl Jenkins, poliedrico esploratore di linguaggi (jazz, new age,
neoclassico applicato alla pubblicità), volle ritradurre in suono le sue architetture: ne nacque un concerto grosso in tre movimenti intitolato appunto Palladio. Nella Roma del Barocco trionfante, Carlo Rainaldi (1611-1691) si ricavò un onorato spazio fra giganti come Maderno, Bernini e Borromini. Commissioni quali l’abside di Santa Maria Maggiore, Sant’Agnese in Agone, Sant’Andrea della Valle e le chiese gemelle di Piazza del Popolo gli consentirono di lasciare un’impronta durevole sull’urbanistica della Città Eterna. Ma il suo capolavoro riconosciuto è Santa Maria in Campitelli, il cui complesso e scenografico interno si corona nell’imponente facciata, scandita da una serie di colonne libere ispirate alla lezione del Palladio. Meno nota è la sua attività di compositore, che Lorenzo Tozzi ha di recente documentato in due cd e nell’edizione critica di alcune cantate. Senso e ragione, diletto e scienza: i poli della visione palladiana riaffiorano intatti nel Settecento razionalista. Di fitti rimandi tra il melodramma, la pittura, la scultura e l’architettura pullula il Saggio sopra l’opera in musica dell’erudito conte Francesco Algarotti nelle sue cinque stesure edite fra 1755 e 1764. Una dinastia di matematici veneti, i conti Riccati (Jacopo e tre dei suoi 18 figli: Vincenzo, Giordano e Francesco), tutti buoni dilettanti di musica e arti varie, si mescola in lunghi dibattiti sull’armonia, l’acustica e i sistemi di accordatura con professionisti di alto livello quali Tartini, padre Vallotti e padre Martini. Obiettivo comune, in polemica contesa di primati col francese Rameau e lo svizzero Eulero: “Provare che la Musica non è un’Arte di solo sentimento, e di pura pratica, ma bensì vera scienza matematica” (Vallotti). Il consenso non verrà mai raggiunto perché gli armonisti fisicomatematici inseguivano l’istanza della precisione assoluta e non tolleravano i compromessi empirici con la difettosa percezione umana. Comunque Giordano Riccati, che analizzò a fondo la costruzione di organi, cembali e violini, applicò la media proporzionale armonica a numerosi interni ed esterni di chiese a Treviso e nel contado. Mentre suo fratello Francesco, architetto militare e civile, darà alle stampe nel 1790 Della costruzione de’ teatri secondo il costume d’Italia, cioè a palchetti, dopo aver progettato decorosi teatri di provincia
quali il Dolfin di Treviso e il Sociale di Udine. Sorvolando sull’epigonico Ottocento italiano, che peraltro ci offre la figurina del compositore, organista e architetto novarese Bartolomeo Franzosini (1768–1853), giungiamo infine all’avanguardia del secondo Novecento. Nel 1958 il padiglione della Philips all’Expo di Bruxelles vide l’installazione provvisoria di una macchina multimediale son-et-lumière in collaborazione fra Le Corbusier, Xenakis (architetto a pieno titolo) e Varèse, laureato in ingegneria al Politecnico di Torino. Esperimento di spazializzazione dinamica del suono che ancora ispira una pleiade di artisti postmoderni quali Brian Eno, Lueit Parasar Hazarika, Richard Fuchs e Milton Estévez. 턢