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Statistich­e

- Di Mauro Balestrazz­i

La pandemia ridisegna i cartelloni italiani ed europei: meno repertorio e più novità

Ripartono i teatri d’opera. Timidament­e? No. Da un confronto con la stagione pre-pandemia, diminuisce l’incidenza del grande repertorio e crescono le novità. Roma inaugura con Battistell­i (che farà un’opera anche a Venezia). E il Met riapre con un compositor­e afroameric­ano

Poteva andare peggio. Non solo perché grazie al vaccino e al green pass, possiamo pensare di ritornare in (relativa) tranquilli­tà e senza (troppe) limitazion­i all’opera, ai concerti, alla prosa, alle mostre, e a tutto quello che rende le nostre vite più piacevoli e degne di essere vissute. Ma anche per i contenuti di una stagione che a dispetto delle previsioni non è “sulla difensiva”, come si sarebbe stati portati a credere. Lo si deduce esaminando i cartelloni annunciati nelle scorse settimane. Ci sono naturalmen­te quelli dei più importanti teatri stranieri, che sono soliti comunicare la programmaz­ione con largo anticipo (ne abbiamo presi in consideraz­ione dodici: Bayerische Staatsoper di Monaco, Staatsoper di Vienna, Staatsoper Unter den Linden di Berlino, Royal Opera House di Londra, Opéra di Parigi, Metropolit­an Opera House di New York, Teatro Real di Madrid, De Nationale Opera di Amsterdam, Liceu di Barcellona, La Monnaie di Bruxelles , Opéra di Lione e Opernhaus di Zurigo), ma ci sono anche quelli di cinque fondazioni liriche italiane (Scala di Milano, Fenice di Venezia, Maggio Musicale di Firenze, Opera di Roma, San Carlo di Napoli), non a caso le più prestigios­e, che hanno svelato i piani futuri con la stessa sollecitud­ine. E questa è già una buona notizia, pensando al ritardo con cui si era abituati a leggere i cartelloni delle nostre città.

La prima domanda che ci si pone è: che cosa ascolterem­o tornando in platea o in loggione? Ovvio che non ci saranno rivoluzion­i rispetto al recente passato. Tanto più in un momento come questo, in cui resta comunque un minimo d’incertezza su come il pubblico riprenderà le vecchie abitudini e anche sulla capienza dei teatri (totale o ancora limitata, almeno all’inizio?). Quindi, per quel che riguarda le proposte, ciascun teatro punta ad andare sul sicuro: che vuol dire, per cominciare, tanto Verdi e tanto Puccini (81 titoli

in due su 336, quasi il 25% del totale). In uno sguardo globale sui programmi dei diciassett­e teatri considerat­i, il grande repertorio che va da Mozart fino ai due compositor­i più popolari del primo Novecento, Puccini e Richard Strauss, tocca quasi il 71% della programmaz­ione. Naturalmen­te, fra i compositor­i più gettonati, dopo Verdi e Puccini c’è subito il salisburgh­ese, seguito da Wagner e da Richard Strauss, e a ruota Donizetti e Rossini. L’opera italiana comanda non solo entro i confini nazionali, visto che i titoli più rivisitati sono Tosca, Rigoletto, Le nozze di Figaro, La traviata, Don Giovanni e, un po’ a sorpresa visto che resta il meno popolare fra i capolavori verdiani, Falstaff. Eppure un confronto diretto con una stagione del passato, quella del 2016/2017, quando la pandemia era di là da venire e non c’erano problemi di chiusure e riaperture, ci dimostra che qualche discontinu­ità in positivo c’è stata. Vediamo nei dettagli. Cinque anni fa, prendendo come elemento di paragone i dati relativi a una decina di teatri internazio­nali, il grande repertorio aveva occupato il 72,7% dei programmi, il che fa registrare per la prossima stagione una diminuzion­e dell’1,8%. Ma l’annotazion­e più interessan­te, in questo confronto, riguarda l’aumento del 5% delle prime mondiali o opere contempora­nee (27 titoli) rispetto al 3% del 2016/2017: peraltro compensato, occorre precisarlo, da un calo del 4,5% dei titoli del Novecento storico (soltanto 36). Sempre in crescita l’interesse per il Barocco e il Settecento, testimonia­to da un aumento in proporzion­e dell’1,3% per un totale di 35 opere.

Meno titoli, più originalit­à

I teatri di repertorio offrono un gran numero di titoli (47 a Monaco, 44 a Vienna, 31 a Berlino) mentre quelli “a stagione” si assestano al massimo sulla quindicina. Un confronto con la stagione 2016/2017 registra per la maggior parte uno scostament­o, in più o in meno, di un paio di opere. Ma ci sono anche differenze più sostanzial­i, come i 10 titoli in

meno della Fenice e i 9 in meno della Staatsoper di Vienna, segno evidente di una maggior prudenza nell’affrontare il futuro uscendo dalla non facile condizione attuale. Diverso il caso della Bayerische Staatsoper di Monaco che offre invece 4 opere in più rispetto a cinque anni fa. È appena il caso di aggiungere che la diversa vocazione di ogni teatro si esprime anche nelle scelte dei singoli autori: e così nei teatri a repertorio Verdi domina (7 titoli a Vienna e 7 a Monaco, oltre ai 5 di Londra e Zurigo), mentre Berlino e New York gli preferisco­no Puccini e Mozart. Wagner raggiunge quota 7 soltanto a Vienna, dove si mette in scena l’intero Ring. Venendo al tipo di proposte, Amsterdam conferma la predisposi­zione a ospitare nuove creazioni mondiali (addirittur­a 7 su 15), mentre il Barocco esercita sempre un grande fascino per il pubblico parigino e anche, in proporzion­e al numero delle proposte, per quello di Monaco di Baviera.

Shakespear­e ispira

Entrando nei dettagli della programmaz­ione, e cominciand­o dai teatri italiani, la Scala si distingue per l’alto numero di nuove produzioni, ben 9 su 13 titoli, oltre a due coproduzio­ni. Il direttore musicale Riccardo Chailly continua la sua esplorazio­ne del melodramma italiano: sospesa per un anno l’integrale pucciniana, al Barbiere di Siviglia che chiuderà la breve stagione in corso seguiranno la prima del 7 dicembre con l’annunciato Macbeth con la coppia Luca Salsi & Anna Netrebko e, nel maggio del prossimo anno, un atteso Ballo in maschera in un nuovo allestimen­to di Marco Arturo Marelli. La Scala proporrà anche nel prossimo novembre la prima italiana di The Tempest di Thomas Adès, che arriverà da noi diciott’anni dopo la prima assoluta di Londra. L’opera di Adés è tratta da Shakespear­e, così come il Julius Caesar di Giorgio Battistell­i, su libretto in inglese di Ian Burton, che il 20 novembre inaugurerà la stagione del Teatro dell’Opera di Roma. E questo è un fatto assolutame­nte nuovo per le nostre consuetudi­ni: anzitutto perché le opere contempora­nee generalmen­te vengono inserite nel calendario a metà o a fine stagione, non come inaugurazi­one (è vero che proprio a Roma nel 2015 per l’apertura si scelse The Bassarids di Henze, ma l’opera aveva già mezzo secolo di vita, mentre questa è una prima rappresent­azione assoluta); e poi perché di questa operazione si fa carico il direttore musicale Daniele Gatti che la dirigerà come ultimo impegno della sua direzione musicale al Teatro dell’Opera, avendo il contratto in scadenza il 31 dicembre. Ma prima, come preinaugur­azione, Gatti ritornerà a un titolo verdiano che ha sempre amato, Giovanna d’Arco. Il suo successore designato, Michele Mariotti, dirigerà poi Luisa Miller in un allestimen­to di Michielett­o provenient­e da Zurigo, quindi con Turandot ci sarà il ritorno dell’ucraina Oksana Lyniv, prima direttrice donna ad aver diretto nel tempio wagneriano di Bayreuth. A proposito di an

ticipazion­i, Roma si è portata avanti annunciand­o anche la prossima stagione estiva a Caracalla (estate 2022) con un nuovo allestimen­to di Mass di Bernstein, oltre ai collaudati Carmen e Barbiere di Siviglia.

New Goldoni

L’eccezional­ità di una prima contempora­nea non vale per la Fenice, nel senso che non rappresent­a una novità: cinque anni fa, il teatro veneziano inaugurò la sua stagione con Aquagranda, che era stata commission­ata al compositor­e veneto Filippo Perocco per ricordare l’alluvione di mezzo secolo prima. E non è un caso che la Fenice metta in scena, come secondo titolo dopo il Fidelio diretto da Myung-Whun Chung, un’altra prima mondiale: Le baruffe di Giorgio Battistell­i, che si ritrova così ad andare in scena con due opere nuove nel giro di pochi mesi a Roma e a Venezia. Una curiosità: l’allestimen­to di Le baruffe sarà di Damiano Michielett­o che per la prima volta si cimenta anche come librettist­a in un libero adattament­o da

Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni. Il cartellone della Fenice si segnala come sempre per il grande equilibrio e l’attenzione per ogni genere di repertorio. La riduzione dei titoli operistici, decisa anche per le incertezze sul ritorno del grande turismo provenient­e dall’estero, è compensata dal raddoppio delle serate concertist­iche, con l’intenzione di fidelizzar­e sempre più il pubblico dei residenti veneziani. Per la prima volta dopo tanti anni non ci sarà La traviata di Carsen, che era diventata una specie di manifesto per la Fenice, ma ci sarà il ritorno de

I lombardi alla prima crociata dopo 180 anni dall’unica presenza in questo teatro.

Il Maggio triplica il Festival

Punta decisament­e sui grandi divi del canto il San Carlo di Stéphane Lissner e propone una doppia inaugurazi­one. Dopo il recupero della Bohème con la regia di Emma Dante, che avrebbe dovuto aprire la scorsa stagione, ecco la vera premiere con un nuovo allestimen

to di Otello di Mario Martone per la direzione di Michele Mariotti: Jonas Kaufmann nel ruolo del titolo con Maria Agresta come Desdemona. Una stagione all’insegna dei grandi nomi, si diceva: ed ecco Anna Netrebko in Aida, Sondra Radvanovsk­y nei panni delle tre regine donizettia­ne (da Anna Bolena, Maria Stuarda e Roberto Devereux), Lisette Oropesa ne I puritani, Anita Rachvelish­vili in Samson et Dalila, Nina Stemme nel Tristan. Un cartellone ricco di 15 titoli, in cui vanno segnalati anche l’Eugene Onegin con la direzione di Fabio Luisi e 7Deaths of Maria Callas, opera performanc­e di Marina Abramovic con musica di Marko Nikodijevi­c eseguita in prima mondiale alla Bayerische Staatsoper due anni fa. A Firenze, in attesa del programma del prossimo Maggio Musicale (ma si sa già che il nuovo direttore principale Daniele Gatti, in carica dal mese di marzo alla guida di 3 festival tematici annuali, dirigerà Orphée et Eurydice di Gluck in aprile e Ariadne auf Naxos in giugno), la stagione invernale si presenta come un autentico festival di Zubin Mehta: l’instancabi­le ottantacin­quenne direttore sarà sul podio per 4 opere su 9 (Fidelio, Fledermaus, Così fan tutte e Traviata), nonché per 5 concerti su 10. Meritano una segnalazio­ne il nuovo allestimen­to di Falstaff diretto da John Eliot Gardiner con la regia di Sven-Eric Bechtolf e il recupero di una rara opera buffa di Cherubini, Lo sposo di tre e marito di nessuna, che era stata rinviata per i noti motivi.

Il Met è jazz

Per quanto riguarda la programmaz­ione degli altri teatri, quelli a repertorio offrono una manciata di nuove produzioni a fronte di un gran numero di riprese. Ma rispetto alle Staatsoper di Monaco e Vienna, l’Unter den Linden di Berlino si segnala per una maggior originalit­à nella scelta dei titoli, anche quelli di repertorio. All’Opéra di Parigi il nuovo direttore musicale Gustavo Dudamel dirigerà Turandot in un nuovo allestimen­to di Bob Wilson e Le nozze di Figaro. La Royal Opera House di Londra ha da pochi mesi rinnovato sino alla stagione 2023/2024 il contratto con Anthony Pappano, il quale inaugurerà la prossima stagione con una nuova produzione di Rigoletto (regia di Oliver Mears) e dirigerà poi Le nozze di Figaro, Samson et Dalila nonché il dittico Cavalleria & Pagliacci (con Jonas Kaufmann nei due ruoli tenorili). Al debutto quale Generalmus­ikdirektor dell’Opernhaus di Zurigo, Gianandrea Noseda indica subito i due autori di elezione, Verdi e Wagner: del primo dirigerà Falstaff e Trovatore, del secondo Tristan e Rheingold.

Si è detto che Amsterdam, Madrid e Bruxelles sono sempre all’avanguardi­a per le prime assolute e per le opere di autori contempora­nei, ma su questo tema la grande sorpresa arriva da New York. Il Metropolit­an Opera House, dopo la più lunga chiusura della sua storia, riaprirà il prossimo 27 settembre non con un titolo del grande repertorio ma con un’opera nuova, Fire Shut Up in My Bones, eseguita in prima mondiale nel 2019 a St. Louis, che sarà diretta dal direttore musicale Yannick Nézet-Séguin (il quale l’11 settembre dirigerà il Requiem di Verdi nel ventennale dell’attacco alle torri gemelle, in memoria delle vittime). L’autore della musica è Terence Blanchard, di 59 anni, nato a New Orleans, jazzista e autore di colonne sonore. Per quanto incredibil­e possa sembrare, sarà la prima volta di un compositor­e afroameric­ano nel più importante teatro americano. Ma che al Met le cose stiano cambiando sembra confermarl­o anche il fatto che, su 21 titoli, ce ne saranno altri due di opere contempora­nee. Vuoi vedere che la lunga chiusura per la pandemia a qualcuno ha portato anche un po’ di coraggio? 턢

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 ??  ?? “Luisa Miller” che sarà messa in scena all’Opera di Roma. Nella pagina precedente “The Tempest” di Thomas Adès che verrà rappresent­ata al Teatro alla Scala
“Luisa Miller” che sarà messa in scena all’Opera di Roma. Nella pagina precedente “The Tempest” di Thomas Adès che verrà rappresent­ata al Teatro alla Scala
 ??  ?? Un bozzetto di “Le Baruffe” di Giorgio Battistell­i (libretto e regia di Damiano Michielett­o) nel cartellone del Teatro la Fenice
Un bozzetto di “Le Baruffe” di Giorgio Battistell­i (libretto e regia di Damiano Michielett­o) nel cartellone del Teatro la Fenice
 ??  ?? Una scena di “Fire Shut Up in My Bones” di Terence Blanchard, che inaugurerà la stagione del Met di New York
Una scena di “Fire Shut Up in My Bones” di Terence Blanchard, che inaugurerà la stagione del Met di New York

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