L’Arpista
Attraversò il primo ‘800 da vero romantico, tra una morte sfiorata nel mare del Nord, scandali e intuizioni geniali. François-Joseph Dizi fu il Liszt del suo strumento. Lo riscopre Davide Burani incidendo gli Studi
Dizi, il Liszt dell’arpa che visse due volte
Alla vita avventurosa dell’arpista François-Joseph Dizi (1780-1840) non mancò quasi nulla, da un affogamento sfiorato alla povertà assoluta, dai travagli amorosi alla carriera in continuo saliscendi di imprenditore, sempre sul filo del rischia tutto, ma salvandosi sempre grazie all’istinto di sopravvivenza. L’arpista ammirato da Chopin, famoso per un suo metodo valido ancor oggi dopo due secoli, è diventato protagonista di un doppio disco monografico inciso da Davide Burani, in cui per la prima volta si possono ascoltare tutti i 48 Studi e Fantasie per arpa, la summa di un compositoredidatta-virtuoso che cercò di far com
petere l’arpa con i primi pianoforti moderni. Dizi nacque a Namur, la città della Vallonia in cui si producevano le lame a serramanico usate a fine Ottocento durante l’invasione francese del Belgio. Era figlio di un modesto professore di musica di provincia, il suo primo maestro, non abbastanza convincente da impedire all’allievo di cercare fortuna altrove. Come in un romanzo di formazione, il sedicenne Dizi s’imbarcò per Londra con la sua arpa. A Ostenda, durante una sosta del battello che lo stava portando in Inghilterra, vide un uomo cadere in mare e istintivamente si buttò per salvarlo, senza aver mai nuotato in vita sua. Quando lo ripescarono, la nave con la sua arpa e i suoi bauli era già ripartita. Poteva rientrare sconfitto a casa o tentare ugualmente la sorte. Decise di proseguire il viaggio senza soldi, senza documenti e senza conoscere la lingua. Nella capitale lo attendeva una vita da diseredato. Ma in quei giorni penosi incontrò - casualmente? - la traiettoria di Sébastien Érard. L’agiografia riporta un’episodio al limite del credibile: passeggiando disperato in solitaria, Dizi avrebbe sentito il suono di un’arpa provenire da una finestra. Che ci si creda o no, fu proprio quell’incontro a salvargli la vita. Érard era il celebre costruttore di arpe, cembali e pianoforti che si era appena trasferito a Londra per scappare dal Terrore rivoluzionario (da fornitore della casa reale francese non poteva sfuggire all’occhio giacobino). Nel 1794 aveva registrato il primo brevetto inglese per un’arpa, uno strumento a singola azione molto raffinato (accordato in Mi) che poteva essere suonato in otto chiavi maggiori e cinque minori grazie a un meccanismo a forchetta che permetteva alle corde di essere accorciate di un semitono, primo passo verso il meccanismo a sette pedali perfezionato nel 1810 col quale ogni corda poteva essere accorciata di uno o due semitoni, creando un singolo tono. Con gli allievi fornitigli da Érard, Dizi entrò nel circuito musicale londinese, un mondo in cui l’arpa era ancora strumento solista molto apprezzato, sia nei programmi di concerto sia nell’editoria. Dizi penetrò facilmente nei salotti degli emigrati politici francesi e arrivò a costruirsi in fretta la fama di virtuoso, contrapposta per ragioni di marketing a quella di Nicolas Bochsa, altra figura di virtuosoavventuriero che tra Francia e Inghilterra arrivò a conoscere la polvere e l’altare, dai concerti privati per Napoleone Bonaparte a una rocambolesca fuga in Australia. Dizi e Bochsa, i due talenti francesi adottati da Londra, finirono per duettare e duellare. “La rivalità tra i due - spiega Davide Burani - è confermata dai programmi di sala dei concerti dell’epoca: al Covent Garden il direttore Henry Bishop impiegò un ensemble di dodici arpe guidate da Dizi; poco tempo dopo al Drudy Lane Sir George Smart ne volle impiegare tredici dirette da Bochsa”. Scandali amorosi, veri o presunti, non potevano mancare nel quadro di una vita sempre vissuta pericolosamente. Nel 1808 Dizi fu coinvolto in una causa di divorzio tra il ricco commerciante delle Indie orientali Richard Campbell Bazett e la moglie Margaret, la quale riuscì a svincolarsi dal matrimonio e a sposare l’arpista, senza che questi perdesse l’amicizia dell’entourage acquisito nei suoi anni londinesi, da Johann Baptist Cramer a Muzio Clementi, fino a Ignaz Moscheles e Friedrich Kalkbrenner, che assieme allo stesso Dizi firmò un duo per arpa e pianoforte suonato a lungo in tournée. Nuovi scandali si palesarono nel 1823, quando in casa Dizi fu trovato il cadavere di Caroline Welch, una giovane di vent’anni che s’era avvelenata per amore (non più corrisposto). Eppure, malgrado tappe così accidentate, la reputazione di Dizi-virtuoso non fu mai intaccata. Nel 1827 uscì il suo Metodo, Ecole de harpe, che riassumeva tutti i precetti della sua arte: “avere una posizione della mano che consenta la miglior produzione del suono, rendere le dita indipendenti, acquisire pulizia e facilità tecnica grazie a una corretta diteggiatura”. È negli stessi anni che vedono la luce i 48 studi registrati da Burani, caratterizzati da una ispirazione libera e da una scrittura quasi sempre polifonica. “L’aspetto più interessante - spiega l’arpista modenese - è che nonostante ogni esercizio sia incentrato su un particolare aspetto tecnico-esecutivo, questo non toglie nulla all’invenzione musicale, quasi paragonabile a certe intuizioni pianistiche adottate al pianoforte dal coevo John Field. La critica del tempo aveva riconosciuto queste doti, parlando di ‘perizia senza trascurare le blandizie della grazia e della melodia’”. Placati i bollori giovanili, Dizi rientrò a Parigi nel 1830, entrando in società con Camille Playel, figlio di Ignaz. Le arpe firmate Dizi-Pleyel, prodotte fino al 1855, sono però rarissime: dopo la morte di Camille, il genero che tirò le redini della ditta volle cambiare radicalmente produzione e fece distruggere tutti i modelli ancora in attesa di essere ultimati. A Dizi fu comunque risparmiato questo dolore, perché morì nel novembre 1840, in tempo per stringere amicizia con Chopin, con cui sette anni prima aveva compiuto una tournée in Belgio. Forse il punto di contatto più ravvicinato tra i vertici di arpa e pianoforte del diciannovesimo secolo. 턢