Il cd allegato
Il ritrovamento di una messa di Antonio Nola permette di ricostruire una liturgia nella Napoli del Seicento. L’ensemble Festina Lente ci fa ascoltare per la prima volta quel mirabile disordine stilistico ed espressivo
Disordine e vertigini in una liturgia napoletana del Seicento ricostruita da Festina Lente
Un importante ritrovamento del manoscritto della Messa a 5 voci, violini, violoncello e continuo di Antonio Nola presso l’ Archivio Musicale della Congregazione Oratoriana di Napoli rivela un lavoro di insolite proporzioni, suggerite forse da un contesto liturgico particolarmente festoso, che oggi ben si presta a rievocare le celebrazioni seicentesche, con l’alternanza di brani strumentali e vocali. Un esempio brillante di scrittura e di elementi stilistici di una “scuola” che sa unire tradizione e modernità, nella consapevolezza che: non si può esercitar bene la moderna Musica, senza qualche capacità delle vere Regole Antiche e che la ricchezza della composizione va raggiunta con differenti stili, si che, se ogn’uno dovesse attendere ad un’ solo stile, e ad una sola scuola, la Musica si ridurrebbe povera, e senza varietà di stili, oltre che sarebbe mendica di invenzioni, con discapito della dilettazione, fine principale della Musica.
Marco Sacchi esprime bene la rivoluzione della scuola napoletana, che la ricostruzione liturgico-musicale mette in evidenza, alternando l’Ordinarium Missae - Kyrie, Gloria, Credo Sanctus e Agnus Dei - con brani strumentali e vocali di autori napoletani coevi. Disorganicità e differenze che trovano compatibilità e armonia nella continuità e quasi nella sincronia dell’ascolto: la comparazione implicita diventa di fatto uno strumento per dare una struttura agli elementi che, per analogia o contrasto, evidenziano i tratti stilistici di una intera “scuola”.
Importanti analogie sono evidenti nella successione Versetto organistico di Giovanni Salvatore (1611-1688), musicista considerato “valorosissimo nella musica per tastiera” (G. O. Pitoni), e prima invocazione. Da un lato le relazioni “tonali”, dall’altro la
insolita velocità dei passaggi vocali presenti nel Kyrie. Un artificio che richiede una nitida esecuzione strumentale, realizzabile solo ricorrendo alla tecnica del cantar di gorgia (gola, ndr), tipica espressione della musica cameristica. Un virtuosismo accolto nella musica sacra, sebbene giudicato poco congeniale alle “voci piene e con moltitudine di cantanti” dello stile da chiesa e, soprattutto, ritenuto fuorviante per i “disordini innumerabili, (…) l’elettione di soggetti profanissimi, e ridicoli” all’interno di sacre celebrazioni. I giudizi poco lusinghieri dei detrattori non hanno evitato quel vitale “disordine” stilistico a cui tendeva la “scuola”, né avevano la forza culturale per farlo.
Questa commistione tra sacro e profano, tipica del Barocco, ha infatti reso artisticamente vitale questo disordine, proprio grazie a una armonia di generi diversi, a un ibridismo di stile antico e di stile moderno. E Nola interpreta il testo liturgico con una ritualità capace di rendere compatibile lo stile da chiesa e quello da camera: il profano guadagna in verticalità e il sacro diventa “immanente”.
Il Christe eleison ricorre a un giocoso ritmo ternario per meglio integrare le compagini strumentali e vocali fino ad una improvvisa sospensione sonora - la sospensione è un artificio della retorica barocca - che anticipa il placato Kyrie eleison finale. La estesissima sezione del Gloria, distribuita in ben undici movimenti, mescola infinite soluzioni tecniche, dal virtuosismo vocale della intonazione iniziale, rinunciando persino al tradizionale intervento del celebrante, al pacatissimo ed oscillante Et in terra pax, al dialogante Laudamus affidato ai due soprani concertati con i violini, al tutti omoritmico del Grazias agimus, alla fuga del Domine Deus Rex coelestis, indicata dall’autore “a cappella”, più per richiamare una appartenenza esecutiva che una esecuzione tradizionalmente “per sole voci”. Dopo una seconda sezione omoritmica che interpreta il Qui tollis peccata mundi, miserere nobis segue il Qui tollis peccata mundi, suscipe affidato al basso solo, in netto contrasto con la sezione precedente. Un’eccentrica soluzione sottoposta alla flessibilità poetica e al gioco della reiterazione testuale che anticipa l’Allegro del Qui sedes,
che vede l’intera compagine vocale e strumentale riunita nell’esecuzione del vigoroso ritmo ternario. L’improvviso silenzio del movimento anticipa il religioso Miserere nobis affidato alle sole voci. Il dialogante Quoniam affidato al tenore e al contralto, è uno spensierato movimento che prelude al vortice sonoro del fugato finale del Cum Sancto Spiritu.
La prima sezione del Credo presenta le stesse caratteristiche notazionali diminuite già ascoltate nella intonazione del Gloria. Una serie di reiterati passaggi di sedicesimi distribuiti fra le voci conducono alla sezione omoritmica Et incarnatus, preludio alla lunghissima sezione del Cricifixus affidato, come nella tradizione “osservata”, alle sole voci. Un movimento di grande intensità al quale si collega la dinamica sezione Et resurrexit affidato ai due soprani con il “concerto” dei violini. I vortici si attenuano nell’ Et iterum affidato al trio di voci gravi (alto, tenore e basso). La pacatezza di tale movimento, nelle sonorità soffuse ed un ritmo libero dai legami mensurali, contribuisce a rendere ancor più vivace l’ultimo movimento. Un vortice sonoro che, in continuo crescendo, conduce all’Amen finale.
La Sonata a tre di Pietro Andrea Ziani (1616-1684), veneziano di nascita e napoletano di adozione, mostra un’arte che media le risorse espressive del violinismo veneziano (alcuni stilemi sono comuni alle sonate di Legrenzi) con le digressioni tonali tipiche della scuola napoletana. Seguono i due movimenti del Sanctus e dell’Agnus Dei.
Nel primo l’autore contrappone la scrittura pacata del primo movimento con il gioioso Pleni sunt coeli in ritmo ternario, seguito da un tenue Benedictus affidato ai due soprani solisti. L’Agnus Dei si sviluppa su una movenza sospensiva sulla quale si inarcano le reiterazioni, fino a spegnersi nella calma pacificazione finale.
In chiusura il Salve Regina a 5 voci con violini e continuo di Cristoforo Caresana (1640-1709). Il testo della più celebre preghiera mariana diviene un grande affresco musicale. La richiesta di misericordia e di perdono per i peccati dell’uomo diventa fonte di ispirazione di una scrittura sublime che, nella molteplicità di soluzioni, dai movimenti a cappella a quelli concertati, adotta una perdurante oscurità tonale.
La liturgia musicale, capace di inserire le passioni individuali nell’esperienza universale della salvezza e la materialità profana dei corpi nello spirito di riscatto tipico di ogni rituale, si chiude con una invocazione alla “Madre della Misericordia” a cui ricorrono i poveri “figli di Eva”. Nel Barocco della Controriforma il male non è un destino ineluttabile, proprio perché gli uomini nel rituale, e attraverso il rituale, possono sempre uscire dalle crisi dell’esistenza. Dopo tutto è questa pure la funzione della musica. 턢