Aida senza AGGETTIVI
Né opera coloniale né “intimista”. Ma teatro di rapporti e di forze restituito dalla direzione di Lanzillotta tutta proiettata nel gioco scenico. Regia pertinente
VERDI
AIDA
INTERPRETI M.T. Leva, L. Ganci, V. Simeoni, M. Caria, A. Cacciamani
DIRETTORE Francesco Lanzillotta
ORCHESTRA Filarmonica Marchigiana
REGIA Valentina Carrasco
TEATRO Sferisterio
★★★
La gran palla dell’Aida opera colonialista cominciò col celebre saggio di Edward Said, e a nulla valsero le molte critiche al riguardo come quella di Fabrizio Della Seta, a mio avviso definitiva ma invece manco per niente: figuriamoci adesso, col #MeToo, il Blackface e il ciarpame politicamente magari corretto ma sommamente scemo che ancora reitera (e sarebbe davvero ora di finirla) la colossale balla di un’opera scritta per l’apertura del canale di Suez. Colonialismo anche nello spettacolo della Carrasco, sulla scia di molti altri a partire dallo storico allestimento di Neuenfels. Egizi occidentalizzati che stuprano le loro distese di sabbia dapprima con campi di golf (Amneris arriva con la cameriera Aida carica dell’occorrente), con gli oleodotti “trionfali”; con la schiavitù imposta ai coloratissimi etiopi cui gettano cibo come allo zoo; con la fatal pietra che è uno scarico di petrolio in cui annegano Aida e Radamès mentre Amneris si staglia in controluce sulle dune ormai annerite. Eccetera.
A Verdi tutto questo fregava al punto che al Cairo manco ci andò; che delle ragioni sociopolitiche della guerra non volle il minimo cenno; che ballabili e trionfo l’impiega perché “tal dei tempi era il costume”, semplice allinearsi al gusto del grand-opéra, talmente tramontante che il quarto d’ora della scena del trionfo fu sufficiente a riassumerlo per intero rendendone finalmente obsolete le ingombranti pacchianerie. Verdi sostanzialmente tratta d’un triangolo borghese e, come fa sempre, l’ambienta a casa sua. Piramidi, bassorilievi, esotismi di selvaggi seminudi: paraventi come lo è Windsor per Falstaff, profumo d’entrambi essendo inequivocabilmente quello dei padanissimi culatello e spalla cotta.
Per fortuna, la Carrasco è regista abile, sfrutta benissimo spazi ingrati come questo (anche la sua Carmen a Caracalla fu al riguardo magnifica), sa far muovere masse e singoli, e quindi lo spettacolo, quantunque inutilmente riferito al momento storico in cui nacque, non calca troppo la mano ed evita il fastidio o, peggio, l’insano desiderio omicida suscitato dalla recente, orripilante messinscena parigina. E anzi, in un punto almeno, dà la misura di quanto davvero sia l’Aida di Verdi: la gran scena Aida-Amneris trattata come guerra all’ultimo sangue ma salottiera, tra un tè e una scelta di vestiario, tutta ammicchi, sottintesi, perfidie profumate e appunto perciò mortali. Certo, una scena a due dovrebbe essere a due e non a una e un terzo: da una parte la sensazionale Veronica Simeoni, che sta da dio nei favolosi abiti anni Venti di Silvia Aymonino, e con gestualità da Oscar subito ma soprattutto con vocalità tutta chiaroscuri e niente utero, per intero sulla parola anziché sulla nota da sparare, fa piazza pulita di tante trombonate non importa quanto incensate; dall’altra una Maria Teresa Leva che canta benino (anzi, ha difficoltà col “Ritorna vincitor” e poi esce benissimo dal ben più carogna “Cieli azzurri”, tenendo un do filato ch’è una meraviglia) ma ha la personalità dei bastoni da golf coi quali compare. Ma questa scena è anche ottima sigla di quanto - assieme ad Amneris - davvero rende grande questa serata: la direzione. Francesco Lanzillotta, nonostante i pesanti limiti di orchestra ridotta e distanziata, coniuga impianto grandioso di sonorità mai cicciose bensì nervose e dinamicissime, con scavo certosino di fraseggio (la “dizione” di quest’orchestra mi ha ricordato spesso la lezione toscaniniana, ivi compreso lo stacco rapinoso d’un “Sì fuggiam da queste mura” reso la vibrante cabaletta che è, e che quasi tutti insensatamente annacquano perché fa più fino), con una ricerca mai calligrafica di colori e spessori nitidissimi. Non è un’Aida “intimista” alla modaiola: è un’Aida tutta centrata su personaggi entro una cornice ambientale con cui confliggono. È teatro. È l’Aida di Verdi.
Luciano Ganci sfoggia registro acuto squillante, sicurissimo, luminoso: lo sfoggia un po’ troppo, ma segue spesso i suggerimenti offertigli dall’orchestra; Marco Caria canta molto bene, Alessio Cacciamani assai meno, il coro di Martino Faggiani è sempre un gran bel sentire, e gli ottoni della Banda “Salvadei”, hanno reso delizia anziché croce il troppo celebre trionfo.