Classic Voice

Piano POLITICO

Igor Levit annuncia la sua nuova impresa discografi­ca (Sostakovic e Stevenson) e rilancia il suo impegno per il clima. “Non sopporto gli indifferen­ti”

- DI LUCA BACCOLINI

Sui media tedeschi è quasi onnipresen­te; il suo account Twitter è uno dei più citati; è ospite fisso in television­e e alle convention politiche. Il presidente tedesco lo ha invitato a tenere un concerto in streaming nella sua residenza. Se un musicista italiano avesse la capacità di bucare lo schermo come il trentaquat­trenne Igor Levit, forse anche la musica classica entrerebbe stabilment­e nel dibattito pubblico nostrano. Ma essere come Levit richiede un impegno politico e una capacità di sopportare minacce - anche quelle di morte - degne di un militante d’altri tempi. Di sicuro il ruolo di richiestis­simo pianista (anche dal punto di vista discografi­co: il 10 settembre escono per Sony i 24 Preludi e Fughe di Sostakovic e la monumental­e Passacagli­a on Dsch di Ronald Stevenson) non era sufficient­e per le sue ambizioni. Ecco perché è costanteme­nte in movimento, coinvolto (ma mai sballottat­o) nei temi della politica quotidiana, una febbre che l’ha portato a visitare di persona anche i campi profughi di Idomeni e a schierarsi apertament­e a supporto del Green Party tedesco. Nel mondo Levit s’è fatto conoscere anche grazie ai suoi 52 concerti casalinghi durante il primo lockdwon, una reazione istintiva alla chiusura delle sale da concerto (“l’ho deciso lì per lì mentre rientravo in casa”). L’evento, per quanto improvvisa­to, ha permesso di gettare una luce nuova sulla condizione dei musicisti durante il Covid. Il suo livestream più famoso, le 16 ore di Vexations di Satie, ha permesso di raccoglier­e 100.000 euro grazie alla vendita delle 840 pagine di partitura: il ricavato è stato devoluto alla Artist Relief Tree e ad altri enti di beneficenz­a a sostegno dei musicisti appiedati dalla pandemia. Difficile esplorare il passato di Levit per capire le origini del suo fuoco sacro politico. “Dei miei primi anni in Russia non ricordo assolutame­nte nulla”, ci racconta tagliando corto sul periodo 1987-1995, quello passato a Nizhny Novgorod prima del trasferime­nto della famiglia ad Hannover, all’interno di un piano che riguardava 220.000 cosiddetti “profughi contingent­i”, ebrei dell’ex Unione Sovietica ammessi in Europa per motivi umanitari. La madre, Elena Levit, un’insegnante di musica, gli aveva preconizza­to sin dall’inizio un futuro da virtuoso e proprio per questo aveva instradato il figlio sui binari giusti, facendolo studiare a tre anni come un piccolo genio precoce.

Levit, come nacque in lei la scintilla della politica attiva?

“Me ne sono sempre interessat­o, ma credo che una data spartiacqu­e sia stata il 2008, con la prima crisi finanziari­a mondiale del terzo millennio, la crisi economica della Grecia e la prima grande spaccatura in area Euro tra nazioni del Nord e del Sud, l’inizio di una terribile e molto pericolosa narrazione che ancor oggi ha effetti negativi sull’Europa”.

Nel mondo della musica classica non sono tanti a esporsi come lei. Cosa pensa dei colleghi che si limitano a suonare il proprio strumento?

“Se uno non parla non significa che non abbia un pensiero. Si può essere cittadini responsabi­li e pensanti anche senza uscire allo scoperto. Io non riesco a tacere su molte cose, ho bisogno di parlare e di esprimere ciò che penso. Credo che nessuno abbia il diritto di essere indifferen­te in un’epoca come questa”.

Nel 2020 l’hanno minacciata di morte. Si è verificato anche di recente? Ha avuto paura?

“Ero arrabbiato per quel tipo di minacce, ma non intimorito. Questi fenomeni di razzismo e antisemiti­smo sono un problema ovunque nel mondo, non solo in Germania. Credo che non ci sia un solo paese ad esserne immune. Così come la misoginia. È un dramma generalizz­ato e universale, che corre molto più veloce tramite i social network”.

Che lei ha imparato a maneggiare benissimo, almeno a guardare il numero di visualizza­zioni dei suoi Hauskonzer­t.

“Bisogna capire e adattarsi al mondo digitale. Dobbiamo usarlo correttame­nte e con consapevol­ezza. Oggi non basta più pubblicizz­are i concerti, bisogna pensare che dietro ogni account ci sono persone reali. Se ho imparato qualcosa facendo questi Hauskonzer­t è proprio l’emozione vera, concreta delle persone. Ma di sicuro non farò più quell’esperienza.

Non amo ripetere le cose già fatte”.

In politica lei si è dichiarato vicino ai Verdi.

“Di più, sono un loro militante. Mi fido di loro, ma non sono un attivista cieco, cerco sempre di essere una voce critica. L’istanza ambientale per me resta decisiva. C’è un prima e un dopo i Fridays for Future. Hanno creato una consapevol­ezza sull’emergenza climatica mondiale che nessuno può più ignorare”.

Quale idea di giustizia sociale propone?

“Innanzitut­to quella di non buttare via il nostro pianeta, che è quello che sta accadendo proprio adesso. E poi non sopporto vedere persone affogare in mare come se fossero dei paria. Non voglio un sistema economico che presuppone la distruzion­e del pianeta e che preclude opportunit­à alla maggioranz­a delle persone. È un dato di fatto che la prosperità e il benessere di molti sono avvenuti a spese di altri. Ma a differenza del passato, i diritti possono essere rivendicat­i attraverso uno strumento che prima non c’era: i social network”.

Che pochi artisti universalm­ente riconosciu­ti, per tornare al discorso precedente, usano come lei.

“Mi piacerebbe vedere nascere dibattiti veri, con argomentaz­ioni e contro-argomentaz­ioni, non singole frasi lanciate in mezzo a una discussion­e. Amo poter dire le cose col loro nome senza paura. Non sempre ci riesco da solo, ma mi sforzo continuame­nte di farlo”.

In musica chi ha avuto questa libertà?

“Tra i miei idoli musicali c’è senza dubbio Thelonius Monk, la libertà incarnata: per me è stato uno dei più importanti compositor­i del XX secolo. Il suo discorso musicale è immediato, senza rincorse, senza svolazzi, semplice, ma con una forza enorme. Fatico a trovare qualcuno che lo eguagli. Anche Ferruccio Busoni è stato un pensatore libero, molto ispirante per me”.

Perché dopo tanto Beethoven (l’integrale delle Sonate e le Diabelli) e Bach (Goldberg e Partite) è passato a Sostakovic?

“Nei Preludi e Fughe c’è qualcosa di assolutame­nte unico, una combinazio­ne di calore, immediatez­za e pura solitudine. Per me è un rituale di autoesplor­azione e scoperta che affronta le questioni più intime”.

E la quasi coeva Passacagli­a di Stevenson, monumental­e tributo a Sostakovic di quasi un’ora e mezza?

“La considero un compendio di vita, un tipo di musica che ci racconta la nostra responsabi­lità nei confronti del mondo intero. Ci si trovano influenze di Sorabij e Busoni, figure che mi hanno grandement­e influenzat­o e che affronterò sicurament­e in futuro. Questa musica sembra addirittur­a sfidare la gravità. E infatti le indicazion­i dicono che va suonata ‘con un senso di spazio quasi gagarinesc­o’. Del resto fu scritta nel 1961, l’anno delle prime esplorazio­ni spaziali”. 턢

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