FESTIVAL DI LUCERNA II
MUSICHE di V. Coltea, S. Amarouch, R. Saunders
PIANOFORTE Nicolas Hodges
DIRETTORI E. Poppe, L. Liao
ORCHESTRA Lfco
Ha debuttato quest’anno al Festival di Lucerna la neonata Lucerne Festival Contemporary Orchestra (Lfco) composta da studenti usciti dall’Accademia del Festival, sfoggiando subito grinta e doti virtuosistiche. La direttrice taiwanese Lin Liao ha diretto questi musicisti in due novità commissionate dal Festival: Orbitor del rumeno Victor Coltea, musica dai suoni polverosi che si trasformavano in textures dense e dissonanti, e Minitel Vanités del francese Samir Amarouch, basata su glissati ed effetti stridenti che evocavano i “rumori delle macchine, compagni della nostra vita quotidiana”. La stessa orchestra, diretta da Enno Poppe, ha poi tenuto a battesimo l’attesa novità di Rebecca Saunders (in residenza al festival), To an Utterance, per pianoforte e orchestra, dove la parte solistica (scritta per Nicolas Hodges) era concepita come una voce disincarnata, che liberava gradualmente la sua energia, mentre l’orchestra reagiva ai suoi gesti con increspature, fasce risonanti, metamorfosi timbriche, in un crescendo dalla furia danzante. Un autentico capolavoro. Nello stesso concerto si è ascoltato anche Void, per due percussionisti e orchestra, pezzo collaudato e di successo della compositrice britannica, dominato dalle figure plastiche e graffianti dei due solisti, cui l’orchestra rispondeva con ondate e pulsazioni che alla fine suonavano come meccanismi fuori controllo. Tra le 12 partiture della Saunders eseguite a Lucerna, meritano una segnalazione due lavori vocali recenti, volti ad indagare la voce come un corpo fisico che produce suono: in Skin (soprano Daniela Argentino) la voce si muoveva per frammenti, avvolta da una trama strumentale oscillante tra violente eruzioni e vibrazioni eteree, come una pelle tesa, ipersensibile; assai più sperimentale The Mouth per soprano e nastro, dove la voce di Juliet Fraser esplorava l’ampia gamma di suoni, sussurri, respiri prodotti nella bocca, soglia tra due mondi, tra il dentro e il fuori: un monologo interiore nascosto sotto la superficie del suono.