Classic Voice

Verdi è un ‘68

Livermore sposta “Traviata” nella Francia delle contestazi­oni. Pagando dazio alla drammaturg­ia del secondo atto. Ovazioni per Nadine Sierra

- CESARE ORSELLI

FIRENZE VERDI

LA TRAVIATA INTERPRETI N. Sierra, F. Meli, L. Nucci

DIRETTORE Zubin Mehta

REGIA Davide Livermore

TEATRO Maggio Musicale Fiorentino

★★★

Per questa ennesima edizione di Traviata al Teatro del Maggio Fiorentino, Davide Livermore ha posto in scena una prostituta degli anni 60, molto disinvolta e un po’ volgare, vestita in minigonna lamé, che beve e ride e s’incontra con i suoi ospiti (e col dimesso Alfredo) in una maison de plaisir, mentre gruppi erotici entrano ed escono da porte di camere; un’umanità festaiola che si moltiplica e si scatena nel palazzo di Flora, affollata di corpi seminudi, coppie gay e lesbiche danzanti, uomini e donne ammiccanti e intente a fare petting, perfino un nano-toreador. Questa lettura esagitata si placa inevitabil­mente al secondo atto, ambientato da Giò Forma in uno studio fotografic­o (Violetta ora è una modella?), e tocca momenti di una certa intensità al terz’atto, dove il letto di Violetta è dominato da due monumental­i pannelli. In questa trasposizi­one cronologic­a discutibil­e, eccessiva e poco credibile in età sessantott­ina (come immaginare un Germont che viene a reclamare da Violetta l’onore della figlia pura siccome un angelo?), pure lo spettacolo di Livermore godeva di una pulsione ritmica accattivan­te nelle scene d’insieme (e infatti il pubblico, alle repliche, l’ha accolto senza buu), di una recitazion­e molto veristica ma eccellente di tutta la compagnia, e di una presenza direttoria­le, quella di Zubin Mehta, decisament­e in gran forma, per niente incline alla routine e in perfetta sintonia con lo splendido cast. Debuttava nel title-role una strepitosa Nadine Sierra, voce sicurissim­a nella gamma virtuosist­ica (compresa una nuova cadenza inserita nel finale I) ma anche di colore brunito e intenso nel registro centrale quando ha dato voce alla prima Violetta, per poi passare a toni più sommessi nel dialogo con Germont, quasi di fanciulla fragile, e infine ritrovare una carica di straordina­ria commozione, lacerante, in tutto il terzo atto. Una rivelazion­e che il pubblico ha accolto con una standing ovation, che ha riservato anche a Leo Nucci, ancora esemplare come Germont, e a Francesco Meli, la cui voce di splendida chiarezza ha tratteggia­to un commosso Alfredo. Orchestra e coro del Maggio al di sopra di ogni elogio.

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