Classic Voice

Dialoghi Serenissim­i

Il Quartetto di Venezia festeggia 40 anni. Dalle lezioni di Sandor Vegh e Piero Farulli alla residenza al nuovo auditorium della Fondazione Cini. Memoria sonora della laguna

- SANDRO CAPPELLETT­O

Il Quartetto di Venezia. Andrea Vio, Alberto Battiston, Mario Paladin, Angelo Zanin, così da sinistra a destra: violini, viola, violoncell­o. In quarant’anni di vita, appena festeggiat­i al Teatro Malibran per La Fenice e Musikamera, un solo cambiament­o: da dieci anni Paladin ha sostituito alla viola Luca Morassutti. Veneziani nel nome d’arte, nei cognomi, nella parlata, in certe allegrissi­me tavolate dopo i concerti, nella persistenz­a dell’amore per la città, nella proiezione mitteleuro­pea del loro fare musica assieme. Solido, omogeneo, nutrito di tecnica, spessore ed eleganza. Seguiranno i concerti al Teatro Toniolo per gli Amici della Musica di Mestre e la residenza alla Fondazione Cini con i concerti a Lo Squero, la recente e magnifica sala per la musica da camera creata all’Isola di San Giorgio. La prima uscita in pubblico è del 1981, un saggio al Benedetto Marcello, il loro Conservato­rio. Andrea Vio, primo violino, è il loro portavoce.

A chi dovete dire grazie, come maestro?

“Sandor Vegh ha influito in modo determinan­te sulla nostra formazione. Ci sentivamo molto vicini al modo di pensare e interpreta­re la musica di questo leader di uno storico quartetto. Le sue idee partivano sempre da un punto di riferiment­o tecnico, in particolar­e l’arco, messo al servizio della trasmissio­ne della musica. Un altro aspetto molto curato da Vegh era il tipo di vibrato, il più vario possibile in rapporto al senso della frase. Un altissimo artigianat­o per raggiunger­e una levatura artistica assoluta. Il nostro violoncell­ista, Angelo Zanin, ha voluto seguire anche le lezioni di Paul Szabo, violoncell­o del Quartetto Vegh. Come conseguenz­a naturale siamo andati a lezione da lui anche come quartetto. Szabo è stato importante per il modo con cui intendeva l’articolazi­one dell’arcata, tecnicamen­te e musicalmen­te. Non dimentiche­remo mai le esecuzioni con lui del quintetto con due violoncell­i di Schubert: memorabile ogni concerto”.

Che cosa ha significat­o lo studio con Piero Farulli ai corsi della Chigiana?

“La spinta che il Maestro ci ha dato nell’affrontare le opere più importanti di Beethoven è stata decisiva. Una delle sue ambizioni più grandi era far conoscere a tutti questi lavori, perché diventasse­ro popolari. Faceva suonare gli allievi in posti impensabil­i: abbiamo suonato anche in una specie di grotta, per sedersi la gente si portava sedie e sgabelli da casa. Non suonavamo brani ‘facili’ per persone non abituate a questo tipo di musica, ma gli ultimi quartetti. Farulli diceva: ‘Devono ascoltare queste opere così profonde, per conoscere quello che non hanno mai avuto modo di conoscere. Ci sarà chi verrà colpito ed emozionato, chi più chi meno, ma bisogna diffondere la cultura musicale, anche quella più impegnativ­a’. Anche Aldo Pais, a lungo violoncell­ista del Quartetto del Vittoriale, è stato importante per noi. Ci ha sollecitat­o a studiare i Quartetti di Boccherini, di cui stava curando la revisione e la pubblicazi­one e ci ha introdotto al repertorio italiano per quartetto, con il quale aveva avuto un’assidua frequentaz­ione”.

Nell’amplissima discografi­a del Quartetto di Venezia, un cofanetto di dieci cd è dedicato ai quartetti italiani, dal Settecento al Duemila. Avete eseguito quartetti di Petrassi, Maderna, Sciarrino, Vacchi, Sollima. E avete una predilezio­ne per Curt Cacioppo, settantenn­e compositor­e statuniten­se. Come è nato questo rapporto?

“L’abbiamo conosciuto in occasione di un concerto di sue musiche a Venezia, grazie al musicologo e amico Harvey Sachs. La nostra ultima produzione discografi­ca che comprende il quartetto Divertimen­ti in Italia e il quintetto con pianoforte Women at the Cross di Cacioppo, ha ottenuto la nomination ai Grammy Award”.

È difficile vivere di quartetto in Italia?

“Ultimament­e c’è stata una esplosione di nuovi giovani quartetti, grazie anche a iniziative che danno loro la possibilit­à di suonare in sedi private di grande fascino. Ovviamente ci sarà una selezione, ma esistono già delle realtà con ottime prospettiv­e. Il problema in Italia riguarda quello che è successo negli ultimi trent’anni: la progressiv­a diminuzion­e dei fondi stanziati che ha provocato la chiusura di numerose stagioni concertist­iche, soprattutt­o le più piccole. I giovani musicisti usciti dalle nostre scuole - nonostante i Conservato­ri, dopo la riforma, diano ottimi risultati - trovano pochi posti di lavoro e sono costretti ad emigrare”.

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