Vocal RICATTO
La nuova opera di Gardella scava nel testo di Schnitzler come un meccanismo perfetto
GARDELLA
ELSE
DIRETTORE Tito Ceccherini
ENSEMBLE Risognanze
REGIA Cecilia Ligorio
TEATRO Ariosto
★★★★
Dopo Montepulciano, l’opera Else di Federico Gardella è approdata al Teatro Ariosto di Reggio Emilia, nel quadro del Festival Aperto. Arthur Schnitzler aveva reso in un monologo interiore il dramma della giovane donna spinta da una madre spietata a chiedere soldi al vecchio Dorsday (che in cambio le chiedeva di mostrarsi nuda) per salvare le dissestate finanze familiari. Nel suo libretto, Cecilia Ligorio ha trasformato il monologo in un efficace meccanismo teatrale, con un testo di poche parole, dialoghi serrati e scene chiuse, drammaticamente ben definite, capace di cogliere l’attualità di un tema come quello dell’abuso del potere esercitato sul corpo della donna. La stessa Ligorio firmava la regia, facendo interagire i personaggi su praticabili mobili, come ingranaggi di un meccanismo di coercizione sociale, stagliando ogni scena su fondali dai colori fluorescenti, che parevano ispirati al fenomeno dell’Alpenglühen (la Alpi che all’alba e al tramonto si colorano di rosso). La musica di Gardella assecondava la struttura geometrica del libretto, con una trama strumentale scarna, disegnata come un “precipizio” verso un finale ineluttabile, affidata a otto strumenti (dell’Ensemble Risognanze, diretto da Tito Ceccherini) che si muovevano tra sottili turbolenze, pulsazioni secche, brevi squarci lirici ed echi del Carnaval shumanniano. La scrittura vocale, fatta di reiterazioni e continui passaggi dal cantato al parlato, rendeva bene lo straniamento della vicenda; seguiva il flusso dei pensieri di Else, tra illusione, paura e vergogna (bravissima Maria Eleonora Caminada, dotata di tecnica vocale sopraffina); giocava abilmente su sdoppiamenti degli altri tre cantanti, che apparivano come “voci della coscienza”, oppure interpretavano ruoli precisi come la madre (Alda Caiello), l’amico Paul (Leonardo Cortellazzi) e Dorsday (Michele Giaquinto). Belle le transizioni da un ruolo vocale all’altro, ad esempio nella scena della lettera che inizialmente veniva letta da Else, e poi passava alla voce della madre, o nel lamento finale, quando i tre personaggi si allontanavo dal corpo agonizzante di Else, per intrecciare una lenta polifonia sulla parola “Else”, come un compianto.