PATRIA vietata
Vitali Alekseenok, 30 anni, è il direttore d’orchestra bielorusso che ha trionfato al Concorso Toscanini. Ma finché governerà Lukashenko non potrà tornare a Minsk. “Alle manifestazioni del 2020 cantavamo ‘Nabucco’. Così ho capito anche l’Italia”
L’unico paese in cui non potrà festeggiare la vittoria al Concorso Toscanini sarà proprio quello in cui è nato. Il bielorusso Vitali Alekseenok, classe 1991, è un direttore d’orchestra sgradito al potere di Lukashenko, lo stesso che da mesi minaccia l’Europa sul doppio binario dei migranti e del gas. Dire Bielorussia evoca subito i disastri di Chernobyl (fu il paese più colpito dall’onda nucleare, più della stessa Ucraina). Sembra un mondo lontanissimo, ma la geografia ricorda che Tarvisio è più vicina a Brést, la città più a sud della Bielorussia, che a Palermo. In Germania, dove vive, Alekseenok ha pubblicato un libro traducibile con il titolo “I giorni bianchi della Bielorussia”, una testimonianza che si legge come un diario, aggiornato alle più crude e recenti notizie dell’ultima dittatura presente in suolo europeo.
Alekseenok, cosa le impedisce di tornare nel suo paese?
“Quando ho dato alle stampe il libro sapevo che quello sarebbe stato un punto di non ritorno. So che se tornassi in Bielorussia oggi rischierei di finire dritto in prigione. L’ho detto anche ai miei genitori, che vivono là, e hanno capito. Ma non potevo tenere tutto dentro di me. In certi momenti della vita non si può scendere a compromessi. Il mezzoforte è una dinamica che non mi piace nemmeno in musica”.
Quando è stato in Bielorussia per l’ultima volta?
“Nel febbraio 2021. L’estate precedente ho partecipato alle manifestazioni pacifiche contro il governo. È stato paragonabile a un Risorgimento, di sicuro il primo vero risorgimento bielorusso, anche se purtroppo non ha dato i risultati sperati. La violenta repressione ha fermato tutto. Ma lo sapevamo. Bisogna solo avere pazienza e resistere”.
Chi ha lottato con lei?
“Tutti i miei amici, che ora proprio per questo motivo non vivono più in Bielorussia. Molti di loro sono passati dalle prigioni, paragonabili a campi di concentramento come ottant’anni fa. Ora si sono dovuti trasferire in Polonia, Ucraina, Georgia, Germania. Perché la rivolta pacifica è fallita? Senza il sostegno di Putin non ci sarebbe più Lukashenko”.
Cosa ricorda dei giorni delle manifestazioni?
“C’era un clima bellissimo, perché per la prima volta il popolo bielorusso, che mai era stato realmente abituato a pensarsi libero, è sceso per strada. C’erano anche i musicisti del Teatro dell’Opera, che hanno suonato il ‘Va, pensiero’ di Verdi. L’ho cantato anche io, e posso dire finalmente di averlo capito fino in fondo. Anche la Bielorussia è ‘una patria sì bella e perduta’. Bella perché anche in questa tragedia siamo sopravvissuti con una grande solidarietà”.
Ci racconti la sua infanzia.
“Sono nato a Vilejka, un piccolo paese 100 chilometri a nord di Minsk. Non provengo da una famiglia musicale, ma un giorno mio padre si presentò a casa con un accordion. E siccome avevo problemi di asma, il medico consigliò ai miei genitori di farmi suonare anche uno strumento a fiato. Pensai al sax, l’unico che conoscevo, ma non era disponibile e così finii a suonare il trombone”.
E la direzione d’orchestra?
“Fino a 13 anni sapevo che avrei voluto fare il musicista, non precisamente il direttore. L’idea è maturata al Conservatorio di Minsk, dove continuavo a studiare il trombone. Le prime lezioni in direzione le ho avute da una direttrice, ed è curioso, perché poi sono diventato assistente di Oksana Lyniv. Considero il mio maestro Aleksandr Alekseev, allievo di Hans Swarowsky, compagno di studi di Sinopoli, un gigante, dotato di memoria incredibile”.
Lei parla già un ottimo italiano.
“L’ho imparato in un mese durante un corso a Minsk e l’ho rinforzato durante il lockdown. Parlo inglese, tedesco, ucraino, polacco, bielorusso, russo, capisco il polacco e il ceco, che sarà fondamentale per il teatro di Janacek”.
Il trombone le è stato utile per la sua carriera?
“Saper suonare uno strumento o cantare è sempre importante quando si ha un’orchestra davanti. La musica è questione soprattutto di fiato, è un respiro che si fa insieme”.
In quali repertori si vuol specializzare?
“Sono molto contento di aver vinto il Concorso Toscanini perché l’Opera italiana è il mio primo obiettivo. Non solo, ovviamente. Ho già diretto Tristan e ho fatto anche contemporanea (Boulez, Berio, Grisey), ma dell’opera italiana amo molto anche i testi. Prima della finale, per prepararmi a Macbeth ho letto il libretto e l’ho assorbito quanto più potevo. Verdi stesso lo prescriveva ai cantanti. È uno dei lati più affascinanti dell’opera”.
In attesa di poter tornare in Bielorussia, dirige ancora nei paesi dell’Est?
“Sono direttore artistico di un festival in Ucraina (il Kharkiv Music Fest), un festival di musica classica con forte vocazione alla sperimentazione e alla divulgazione. Mi piace inventare nuovi formati per i concerti, soprattutto trasmettere la passione per la musica alle persone che non si sono ancora avvicinate all’arte. Io vengo da città piccolissima e ho trovato la mia connessione con l’arte quasi per caso. O per destino, chissà. Tanti, come me, devono avere almeno la loro opportunità”.
La sua famiglia le ha rimproverato il suo attivismo?
“Hanno rispettato la mia scelta. Ovviamente non parliamo di politica, perché non voglio coinvolgerli in scelte che riguardano solo me. Del resto quando ho pubblicato il libro sapevo che stavo per chiudere una porta dietro di me. La generazione precedente è ancora legata a schemi da Unione Sovietica. La mia ha già un piede in Europa. Sogno una Bielorussia capace di uscire dalla morsa della Russia e della geopolitica. Abbiamo dato i natali a Chagall, a Bakst - anche se non potevano dirsi ancora bielorussi - nonché al premio Nobel per la letteratura Svjatlana Aleksievic. Siamo un paese che deve ancora riconoscersi. Tutto questo prima o poi succederà”. 턢