Ifigenia con IRONIA
Emma Dante alleggerisce la tensione e anche l’orchestra respira
GLUCK
IPHIGÉNIE EN TAURIDE
INTERPRETI A.C. Antonacci, B. Taddia, M. Süngü
DIRETTORE Diego Fasolis
REGIA Emma Dante
TEATRO Sociale ★★★★/★★★
Riunire al Sociale di Como Anna Caterina Antonacci, Emma Dante, Diego Fasolis. Quest’anno il Circuito operistico lombardo ha fatto le cose in grande programmando una Iphigénie en Tauride di Gluck che non avrebbe sfigurato in una grande Fondazione lirica. Questa nuova produzione ha toccato invece le “province” liriche di Pavia, Cremona, Brescia e appunto Como. Sulla carta c’erano tutti gli ingredienti per incidere sulla storia interpretativa di uno dei capolavori della cosiddetta “riforma”, segnato dalla successione di cori, danze e arie serrati a blocchi compatti e da un respiro unico e precipitato. Diego Fasolis, alla testa di un’orchestra dei Pomeriggi musicali dagli archi sfibrati e di un coro OperaLombardia approssimativo per attacco e tenuta sonora, ha invece puntato su impreviste zone di alleggerimento della tensione, facendo respirare la partitura con squarci elegiaci: ristabilendo dunque il primato dell’Aria. Recuperando cioè quanto di ancora pre-riformistico nella scrittura di Gluck c’è. In questi coni di luminosità s’inserisce anche Emma Dante. Il suo spettacolo prova a impostare una dialettica “di genere”, con le donne prefiche e succubi - un po’ generica la mimica affidata a Sandro Campagna - oppure costrette dal regime violento e maschilista della Tauride a fare da cariatidi umane ai templi disegnati da Carmine Maringola, ma non ci crede fino in fondo. Lasciando invece scorrere insinuante l’ironia: sia nei costumi di Vanessa Sannino (pomposi quelli dei ministri, in stile Halloween quelli delle sacerdotesse) che in alcune scene risolte eccentricamente: gli amici quasi amanti Oreste e Pylade che attendono la loro sorte dondolandosi in altalena come in quadro di Poussin non si erano mai visti. In questa leggiadria Anna Caterina Antonacci è meno a suo agio: la sua Ifigenia ha accenti altamente scolpiti, afflitti talvolta da un eccesso di vibrato, e personalità tutta-tragica da vendere. Come del resto l’Oreste di Bruno Taddia, che però “spinge” e forza la voce. Ammirevole invece l’equilibrio vocale e stilistico del Pylade di Mert Süngü.