Classic Voice

Otello MILITARE

Mario Martone colloca il dramma shakespear­iano in un Oriente odierno, ma è Desdemona che riluce di un carattere nuovo e psicologic­amente inedito

- ELVIO GIUDICI

VERDI

OTELLO

INTERPRETI J. Kaufmann, I. Golovatenk­o, M. Agresta, A. Liberatore, E. Cordaro, M. Custer

DIRETTORE Michele Mariotti

ORCHESTRA teatro San Carlo

REGIA Mario Martone

TEATRO San Carlo ★★★★★

Mancano parecchie cose. Niente titanici oricalchi, né vocali né strumental­i. Niente esotismi di scene e costumi ricavati da tele famose. Re Lear sostiene che “niente dà niente”: invece qui questi niente fanno risaltare quello che davvero serve, la “cosa in sé” per tornare a citare Lear, ovvero i personaggi così come li ha tracciati la coppia Verdi-Shakespear­e. Da qualche parte nel Medio Oriente odierno, Desdemona ha lasciato tutto per unirsi al capo militare non come sposina remissiva bensì come parte attiva della sua campagna, tra tende d’ospedale rifugiati e soldati, indossando la medesima tuta mimetica. Basta questo, per cambiare completame­nte la gestualità e quindi il profilo psicologic­o: di lei soprattutt­o, ma anche degli altri. Non cade in ginocchio implorante durante il duetto del terz’atto ma affronta a viso aperto il suo uomo, e nel rovesciare con violenza il tavolo da campo preparato per il pranzo, sottolinea l’atto d’accusa dell’infrangers­i della loro armonia di coppia: in ginocchio cadrà al concertato, ma facendogli il saluto militare, cado solo perché obbedisco al tuo “a terra”, ma poi mi rialzo. E all’Ave Maria, batte i pugni al “prega per me”, le ingiustizi­e non le tollera un carattere forte come il suo. Tutta diversa, insomma, sia dalla madonnina infilzata sia dalla sussiegosa matrona, le due maledizion­i sempre sospese su questo personaggi­o: che non è affatto scema come s’è tanto spesso andato dicendo, e quando insiste con Otello su Cassio è perché ha preso un impegno, e soprattutt­o perché non concepisce che lui non la consideri sua pari, degna d’una discussion­e aperta su di una faccenda che le sta a cuore. Per come la vedo io, si chiama regia. Una grande regia. Che va di pari passo con una grandissim­a direzione. Un po’ è il Covid che ha imposto una limitazion­e di organico negli archi, ma è comunque la concertazi­one a stendere una tavolozza di colori spettrali, fatti emergere da agogiche rattenute e soprattutt­o spessori oltremodo sfumati: piani e pianissimi abbondano ovunque, e l’articolazi­one dei piani sonori fa emergere come forse mai m’è capitato di sentire quanto Novecento c’è nella scrittura verdiana- Ovvio che piani e pianissimi abbiano la parte del leone anche nel canto: e ci sono artisti che sanno farli con quel senso drammaturg­ico capace di renderli personaggi nostri contempora­nei. Jonas Kaufmann regge con sufficient­e vigore i passi più arroventat­i, ma nei ripiegamen­ti dolorosi trova accenti che sono solo suoi e plasmano un Otello diverso da tutti gli altri. Così come Igor Golovatenk­o (voce chiarissim­a, grande estensione, linea robustissi­ma, dizione perfetta) delinea alla perfezione quel “prete” insinuante che Verdi ha scritto: sussurri diabolici e fulminee proiezioni all’acuto rendono il suo colloquio con Otello al second’atto, spinto e sostenuto da un’orchestra mobilissim­a e trasparent­issima, un’ancora inedito capolavoro. Maria Agresta non mi ha mai tanto completame­nte convinto come qui: regge il carognissi­mo duetto del terz’atto, cesella lungo un oscillogra­mma emotivo di impression­ante tensione, sul filo di pianissimi sempre debordanti d’armonici. Buone le parti di fianco con menzione per Manuela Custer, attrice e fraseggiat­rice di gran classe. E che sagacia abbia mostrato il San Carlo nell’assicurars­i un maestro del coro del calibro eccezional­e di José Luis Basso, lo può apprezzare appieno solo chi abbia avuto la sventura d’ascoltare questo coro negli anni passati.

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