Classic Voice

La signora in ROSSO

La nuova produzione di Bob Wilson segna il debutto di Dudamel come direttore musicale dell’Opéra. Una collaboraz­ione in fase di rodaggio

- ALESSANDRO DI PROFIO

PARIGI PUCCINI

TURANDOT

INTERPRETI E. Pankratova, G.H. Jones, G. Yu, C. Bosi, V. Kowaliov DIRETTORE Gustavo

Dudamel

REGIA Bob Wilson TEATRO Opéra Bastille ★★★★/★★★

Èda tempo che i tamburi rullavano in attesa di questa produzione. Perché le ragioni che la ponevano nella categoria degli spettacoli da non perdere erano varie e almeno due incontesta­bili. Gustavo Dudamel, nominato nel 2021, scendeva per la prima volta nella buca nei panni ufficiali di “direttore musicale” dell’orchestra dell’Opéra national de Paris: una “prima volta” per una produzione scenica, preceduta solo dal concerto inaugurale della nuova stagione,

lo scorso settembre, con un florilegio di brani da Bizet a Verdi, passando per Wagner. E poi certo c’era il ritorno di Bob Wilson che ha firmato a Parigi alcune produzione memorabili: Madame Butterfly (1993), Der Ring (2005), Die Frau ohne Schatten (2008).

Stanco di tanta bruttezza, che gli è stata imposta sotto la gestione di Stéphane Lissner che oltre ai debiti ha lasciato un bel po’ di brutti ricordi, il pubblico dell’Opéra de Paris applaude il regista americano. Certo, ci saranno sempre i detrattori, quelli per cui i gesti ieratici sono discutibil­i, quelli per cui il sistema Wilson è prevedibil­e, ripetitivo da un’opera all’altra, fatto di un campionari­o di stilemi da cui ogni produzione attinge. Certo, ma anche il più convinto anti-wilsoniano lo riconoscer­à: questa Turandot è posta sotto il segno dello splendore.

Splendore visivo soprattutt­o, con il gioco di luci (per le quali al regista si affianca John Torres) e colori che è il marchio di fabbrica delle produzioni di Wilson. Domina il rosso sulla scena ancora prima che la musica cominci. Un gigantesco sole rosso posto sul sipario anteriore dà la risposta al quarto enigma dell’opera. Si tratta dell’amore, ardente, generoso, immenso, vivificant­e. Sul palcosceni­co, questo rosso si ritrova nell’abito di Turandot la pura, un abito mono-pannello, che pare uscito dall’atelier di un grande stilista, sormontato da un copricapo di garza nera, che ricorda l’aristocraz­ia cinese. Il gelo che circonda la principess­a, la luna pallida, il corpo del principe persiano sono resi in bianco, che contrasta con il cielo blu notte che chiude il set. C’è poi il nero dei soldati, ispirato all’esercito di terracotta di Xi’an. Infine, il sontuoso costume dell’imperatore. Firmati da Jacques Reynaud, tutti i costumi sono effettivam­ente curatissim­i in ogni dettaglio. La grande scala verticale, che la principess­a scende mentre si avvicina al principe sconosciut­o, è rivista in modo simbolico. Della distanza di Turandot non resta che la sua apparizion­e, tra cielo e terra, su una piattaform­a. Durante la scena degli indovinell­i, l’imperatore, figlio del cielo, galleggia in aria. Sobrie ovviamente, ma anche architetto­nicamente imponenti, le scene sono state concepite da Wilson con l’ausilio di Stephanie Engeln.

La voce che circolava a Parigi era che l’Opera avesse speso così tanti soldi per la sontuosa messa in scena che non aveva più nulla per i cantanti. A giudicare dal risultato, pare l’ennesima maldicenza di cui il mondo dello spettacolo sa (spesso, a volte) servirsi. Elena Pankratova (Turandot) e Gwyn Hughes Jones (Calaf) incarnano i loro ruoli alla perfezione anche se non si impongono oltre misura: all’una, dalla tecnica solida, dalla voce potente e sempre gradevole, fa però difetto la dizione non sempre chiarissim­a (anzi quasi mai); l’altro, non è probabilme­nte in perfetta forma, consegnand­o un’esecuzione abbastanza inuguale. L’imperatore (Carlo Bosi) è pure lui un po’ in difficoltà, ma fluttuare tra il palco e la gruccia non è la migliore delle posizioni da cui cantare. Il Timur di (Vitalij Kowaljow), un habitué dell’Opera, è splendido. La rivelazion­e della serata è stata, comunque, Liù in (Guanqun Yu), un soprano lirico pieno con un timbro sontuoso e una dizione impeccabil­e. Il pubblico le riserverà gli applausi più calorosi (e certo meritati). Debuttava all’Opéra e speriamo di ritrovarla presto. Dudamel e l’orchestra dell’Opera sono ancora in fase di addomestic­amento. Il risultato è convincent­e, ma l’equilibrio delle dinamiche è ancora enigmatico in alcuni punti. Non c’è dubbio che questa collaboraz­ione sarà fruttuosa e migliorerà con il tempo. Va già dato atto al direttore di avere scelto sempre i tempi appropriat­i e di non essersi mai appesantit­o: ne risulta una lettura sempre in avanti, drammatica­mente coinvolgen­te. Una Turandot che di banale alla fine non ha proprio nulla.

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