La consacrazione della CASA
Con il “Fidelio” s’inaugura il nuovo auditorium del Maggio. Apprezzabile versione semiscenica, direzione nobile di Mehta e Lise Davidsen straordinaria protagonista
FIRENZE BEETHOVEN
FIDELIO
INTERPRETI L. Davidsen, K.F. Vogt, T. Konieczny, F.-S. Selig, L. Bernard, F. Aspromonte
DIRETTORE Zubin Mehta
REGIA Mathias Hartmann
TEATRO Auditorium del Maggio Fiorentino ★★★★
Dopo la trionfale apertura, in presenza del Presidente della Repubblica Mattarella, con la Messa di Gloria di Puccini e la Settima di Beethoven, il nuovo Auditorium del Maggio Fiorentino, una bellissima struttura con pareti coperte di grandi pannelli verdi e color legno, uno spazio articolato in una limitata platea e un’ampia gradinata, ha accolto una seconda inaugurazione, stavolta operistica, con ancora Zubin Mehta sul podio a dirigere il Fidelio. Firenze attendeva da tempo l’apertura di questo Auditorium, la creazione di un spazio alternativo a quello del teatro (“forse troppo grande per la città di Firenze” ha dichiarato il sovrintendente Pereira); e i tempi infatti, la pandemia e qualche difficoltà economica non hanno consentito di terminare i lavori per la cavea orchestrale, anche se splendida è risultata la sonorità dello spazio teatrale; così l’esecuzione si è presentata in forma semi-scenica, con il coro, l’orchestra e il direttore posti alle spalle dei cantanti, che hanno agito su una sorta di proscenio orizzontale che Volker Hintermeier ha inquadrato fra due strette quinte, ispirate alle carceri del Piranesi come due monumentali pannelli/ torri che sono stati gli elementi mobili che hanno animato la regia di Mathias Hartmann. Il pubblico, ormai infastidito da certe provocatorie soluzioni registiche, ha riconosciuto e apprezzato nello spettacolo di Hartmann le soluzioni d’impronta decisamente realistica e l’estroso utilizzo dello spazio scenico minimale, percorso dalle torri sospinte con sofferenza dai prigionieri sdraiati per terra, mimando con un’agitata gestualità il loro stato di carcerati torturati (come il terribile aspetto di Florestan incatenato, in apertura del secondo atto). Nello stesso modo, bypassando l’ambientazione spagnola del libretto, sono collocati in una astorica prigione anche i costumi disegnati da Sophie Leypold,: vesti grigie decorate di schizzi biancastri recuperati ancora dalle carceri del Piranesi, salvo poi nel finale, a celebrare la vittoria dei valori positivi sulla tirannia politica, entrano donne in abiti coloratissimi, in luminosi lamé, in fogge fantasiose, quasi tirati fuori da un film americano anni Cinquanta.
Se il pubblico fiorentino ha apprezzato senza se o ma l’essenziale spettacolo, l’accoglienza di questo Fidelio alla fine è stata a dir poco trionfalistica, con applausi che non cessavano d’intensità, in primis nei confronti dell’amatissimo Mehta, che ha restituito, con il nobile, intenso coro (levigato e commosso nella scena “O welche Lust”) e l’impareggiabile orchestra del Maggio (momenti stupendi l’introduzione all’aria di Florestan e la Leonora n.3), sia l’eleganza delle iniziali scene post-mozartiane di Marzelline e Jaquino, (gli incantevoli Francesca Aspromonte e Luca Bernard), che la tensione drammatica e dolorosa di tutta la tragedia, con sonorità di colore e intensità variatissime, una continuità composta e poetica che ha levigato certi vertici di drammatismo eccessivo della partitura. Certo, Mehta ha disposto di un cast stellare, con la strepitosa Leonora di Lise Davidsen, voce splendente, di pieno spessore, di colore intenso e omogeneo (la platea ha letteralmente bloccato con gli applausi l’esecuzione dell’aria “Abscheulicher!”), il vigorosissimo e violento Pizzarro di Tomasz Konieczny, e il Florestan di Klaus Florian Vogt, tenore di vocalità incisiva, con qualche inflessione tagliente. Ottime anche le prestazioni di Franz-Joseph Selig nei panni caratteristici del carceriere Rocco e di Birger Radde, che ha incarnato con inflessioni solenni e spiritose (come ha voluto il regista) il deus ex machina della tragedia Don Fernando.