Classic Voice

Effetto BERLIOZ

Un concerto impreziosi­to da uno Spyres in stato di grazia

- PAOLO LOCATELLI

STRASBURGO BERLIOZ

BÉATRICE ET BÉNÉDICT

(OUVERTURE)

LES NUITS D’ÉTÉ

HAROLD EN ITALIE

DIRETTORE John Nelson

TENORE Michael Spyres

VIOLA Timothy Ridout

ORCHESTRA Philharmon­ique de Strasbourg

★★★★

Guardando alla storia esecutiva, sembrerebb­e che Hector Berlioz sia un compositor­e da specialist­i. Con l’eccezione dei lavori più noti, che hanno attirato l’interesse di tutti i grandi di oggi e di ieri, i musicisti che si sono immersi nel suo mondo in profondità non sono molti: Munch, Davis, Dutoit, per certi versi Gardiner e pochi altri. L’ultimo in ordine di tempo ad aver scelto di addentrars­i negli anfratti dell’opera del francese è John Nelson, navigato americano che con Berlioz ha ormai avviato da diversi anni un discorso tuttora aperto, che ogni anno si arricchisc­e di una nuova puntata che poi finisce dritta sul mercato discografi­co per Warner. Questa volta non c’è di mezzo l’opera, se non di striscio con l’ouverture da Béatrice et Bénédict, ma la scelta è caduta su uno dei lavori sinfonici più eccentrici nella produzione berliozian­a, Harold en Italie, quella strana sinfonia byroniana con viola solista che assomiglia molto a un poema sinfonico, e sul ciclo di melodie Les nuits d’été. A mantenere il filo con le puntate precedenti c’è Michael Spyres, che ormai ha dimostrato di possedere un eclettismo che gli consente di andare ben oltre il passaggio da Enea a Faust, ma può arrivare fino all’inconsueto approccio tenorile alle notti d’estate. Non che le canzoni francesi patiscano il trasporto a una vocalità maschile, tutt’altro.

La plasticità e la morbidezza della voce, l’ampiezza della sua estensione, consentono a Spyres di smussare ogni angolo, anche nelle zone più scoperte della tessitura, e di allargare le già ardue richieste della scrittura a discese verso il grave con una spavalderi­a irridente. È una felicissim­a sorpresa nell’Aroldo il giovane violista britannico Timothy Ridout che, a dispetto dell’età e del look da popstar, è artista tutt’altro che superficia­le. Anzi, interioriz­za il suono, lo assottigli­a ai limiti dell’udibile senza focalizzar­si sulla bellezza timbrica.

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