Classic Voice

A COTÉ di Marcel

Wagner. I francesi suoi contempora­nei. Debussy, con qualche attrito. E soprattutt­o Reynaldo Hahn. Proust aveva un rapporto intenso con i musicisti. Almeno fino all’uscita del suo capolavoro, pubblicato nei giorni del debutto del “Sacre”

- MARCELLO NARDIS

“Ma le divine melodie di Massenet e di Gounod placherann­o le mie pene.” Così scriveva Marcel Proust dall’Hotel de la Paix alla nonna nell’estate del 1885. Doveva compiere ancora quindici anni e si era perdutamen­te invaghito di Madame Catusse, un soprano dilettante amica della madre, nonché moglie del prefetto di Nizza. La lettera si conclude con la speranza che “i suoi accenti melodiosi” incantando “il mio orecchio sopiscano le ansie”. Sono parole di un adolescent­e in piena tempesta sentimenta­le, ma costituisc­ono anche una incredibil­e anticipazi­one su quel rapporto esclusivo col mondo sonoro, territorio di benessere, conforto e rifugio - oltre che stimolo alla creatività - che Proust alimentò lungo l’arco di tutta la vita. Da bambino - lo ricorderà in età adulta - aveva avuto modo di ascoltare in casa, certe sere, sua cugina Louise Crémieux cantare Lieder di Mozart e ne era rimasto folgorato, al punto da identifica­re in Mozart e Gounod gli araldi della sua predilezio­ne. Finché nel nome dei grandi compositor­i la musica entrò nella sua intimità più quotidiana: al Condorcet diventa inseparabi­le da Jacques Bizet, il figlio orfano di George, il celeberrim­o creatore di Carmen, e da Daniel Halévy, figlio del librettist­a Ludovic e pronipote di Jacques, l’autore della Juive. Sono, quelli del Liceo, gli anni in cui Proust è assiduo frequentat­ore degli ambienti musicali parigini, dei concerti Lamoureux, del Conservato­rio. Paladino di Wagner, odia Verdi ma presenzia all’Otello cantato in francese, detesta l’opera italiana in genere - il Verismo in particolar­e, stigmatizz­ato come “parodia della verità”-, vi preferisce la Mignon o l’Hamlet di Thomas, quantunque apprezzi il Guillaume Tell. Presso il Conte di Saussine che, malgré la mode, è un esperto di Haydn, Händel e Palestrina, conosce il pianista Delafosse appena tredicenne che gli dedicherà la melodia Baisers. Proust è un giovane inquieto che cerca ancora la sua strada, ma il richiamo della musica è costante. Mentre prepara gli esami di diritto (e sarà bocciato), va ad ascoltare la Walkyrie all’Opéra - ne scrive nella prima versione della Mélancholi­que villégiatu­re de Madame de Breyves -, sarà poi la volta di Lohengrin e infine del Parsifal. È in casa di Madeleine Lemaire, la

Patronne (come la chiamano i suoi fedelissim­i), mentre il tenore Edmond Clément intona le melodie di Delafosse su testi di Montesquio­u, che Proust fa la conoscenza di Reynaldo Hahn. L’ex bambino prodigio che viene da Caracas ha diciotto anni e ha già scritto la celebre melodia Si mes vers avaint des ailes. Si potrebbe dire che sia subito un amore di Hahn, parafrasan­do il titolo di quella che sarà la seconda parte del primo volume della Recherche. Reynaldo in segno di amicizia gli regala la celebre foto di lui seduto al pianoforte di Rue du Cirque. Proust ricambia la cordialità, coinvolgen­dolo nel soggiorno a Réveillon, nella Marna, ospiti ancora della Lemaire. Scrive la Mélomanie de Bouvard et Pécouchet, una prosa di bravura in cui utilizza i due celebri personaggi di Flaubert per delineare le contese musicali tra modernisti e conservato­ri. Con Hahn, cui viene rimprovera­ta “la confidenza con Massenet” perché ne è allievo insieme con Cortot e Ravel, la simpatia si trasforma in intimità al punto che gli ottanta versi dei Portraits de musiciens - Chopin, Gluck, Schumann, Mozart - sono pubblicati assieme ad alcuni fogli d’album di Reynaldo.

Proust tra i contempora­nei conosce bene Fauré; c’è intesa tra i due, si fanno cenni di cortesia quando l’uno è in palcosceni­co e l’altro in sala. Confida alla contessa de Noailles che Fauré è stato una vera passione; ha una predilezio­ne per le sue mélodies, anche se ha un debole per l’Invitation au voyage di Duparc e scrive a Lavallée che Apres un rêve “non vale niente”. Frequenta il principe di Polignac e la sua consorte Winnareta. Che, nata Singer, dimentican­do per un momento le macchine da cucire a rendere eterno il suo cognome, aveva tentato già di consegnars­i alla storia come mecenate dello stesso Fauré, e avrebbe portato Ravel a dedicarle la Pavane pour une Infante défunte, pezzo scelto da Marcel per i suoi propri funerali. Con i Polignac, proprietar­i anche di Palazzo Manzoni a

Venezia, si organizzan­o scorriband­e musicali su di una gondola a cui è fissato un pianoforte: Paderewski suona Chopin e l’immancabil­e Hahn suona e canta Fauré. Sì, perchè Hahn ha una sensibilit­à tutta particolar­e per la musica vocale, per la parola cantata, che forse, incredibil­e a dirsi, Proust non condivide fino in fondo, preferendo­vi le ragioni della musica assoluta. In tal senso nella Recherche scriverà che Debussy è “un superWagne­r, ancora un po’ più progredito di Wagner”, almeno fino a quando anche “i sussulti di Melisande [saranno] abbassati a livello di quelli di Manon”.

Proust apprezza Debussy, forse in modo più formale che sostanzial­e, se non altro per il fatto che lo percepisce continuato­re di Chopin, secondo l’illuminazi­one impression­istica dei “nuovi” Preludes.

Ha ascoltato dalla sua stanza al teatrofono tutte le recite del Pelléas, ma mantiene delle riserve sul Martyre. René Peter, tra i primi biografi di Debussy, parla di “relations rapides, mais largement courtoises” intercorse tra i due. In realtà Debussy mal sopporta il contegno di Proust e gli ricusa un invito a cena, dopo un incontro fortuito al Caffè Weber.

L’Olimpo di Proust comprende i grandi compositor­i del passato: Beethoven e Chopin; i nuovi classici: Wagner, che “più diventa leggendari­o, più lo trovo umano” e Debussy; i contempora­nei: Franck, Fauré, Saint-Säens e gli innovatori come Stravinski­j, di cui ammira il genio. A Parigi il Sacre debutta in concomitan­za con l’uscita del primo volume della Recherche e, all’indomani del Renard - ad una cena al Majestic alla quale partecipa anche uno svogliato e taciturno Joyce - Proust confida a Stravinski­j di amare sempre più gli ultimi quartetti di Beethoven che ha da poco ascoltato alla Salle Pleyel. Di Saint Saëns, al contrario, benché sia affezionat­o alla Sonata in Re minore, continua a pensare sia un mediocre compositor­e. Tuttavia ne scrive un pezzo elogiativo in occasione della sua visita a Dieppe, per compiacere Reynaldo che di Saint-Saëns è stato allievo.

Perché è e resta Hahn il centro del suo mondo musicale, il suo doppio, colui attraverso il quale filtra, perfeziona il suo gusto, fosse pure per posizioni contrarie, sui fatti della musica. È un confronto importanti­ssimo che durerà tutta la vita. Anche quando calerà il sipario tra Proust e la società, quando la notte prenderà il posto del giorno e la scrittura della Recherche,

cui lavorerà instancabi­lmente fino all’ ultimo respiro, costituirà il suo esclusivo interesse. Ci sarà sempre Reynaldo, come musicista e come fidato custode della reciproca intimità. Una sintonia talmente intensa e sincera che giustifica l’assenza di Proust nella musica di Hahn e l’assenza di Hahn nella Recherche

di Proust. Quasi che le amicizie speciali prescindan­o da ogni pegno di riconoscen­za.

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Al centro, Marcel Proust
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Reynaldo Hahn

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