CARA Romania
Il compositore romeno per antonomasia racconta la sua infanzia ribelle nella periferia d’Europa. Che lasciò per un’epidemia
La musica popolare rumena sprigiona un’insolita malinconia. Non sono ancora convinto che la parola “malinconia” sia la più corretta. Per me questa musica è prima di tutto quella dei sogni, perché tende ostinatamente al minore, che è lo stesso colore dei pensieri nostalgici. Gli intervalli melodici ricordano chiaramente l’Oriente; in generale, i ritmi sono semplici e simmetrici (2/4, 6/8) con dei periodi ben precisi di quattro e otto battute che li distinguono dai ritmi dispari, disposti su cinque o sette battute, caratteristici di alcuni paesi balcanici. Ho sempre pensato che questo senso di simmetria fosse un lascito della nostra latinità. A Liveni mi
sentivo perduto così come, 75 anni prima, Franz Liszt a Raiding, nell’angolo più sperduto dell’Ungheria. Quando compii 5 anni mi accompagnarono a Iasi per presentarmi a un allievo di Vieuxtemps che si chiamava Caudella. Arrivati da lui, scorsi due bei violini sul suo pianoforte e Caudella, dandomi un buffetto sulla guancia, mi disse con gentilezza: “Ebbene, piccolo mio, vorresti suonarmi qualcosa?”. “Suonate prima voi, così posso vedere se lo sapete fare!”, risposi. Mio padre si precipitò a farmi chiedere scusa a Caudella, che nonostante il mio pessimo carattere ebbe la bontà di incoraggiarmi: era un uomo che non portava rancore. Perciò raccomandò che mi si facesse imparare la notazione musicale. Un nostro vicino di casa, ingegnere di professione, mi insegnò i primi rudimenti della scrittura musicale: era molto modesto, ma grazie a lui ho imparato a leggere e a scrivere i piccoli pezzi facili che mi dava da ricopiare. Da quando ho avuto a disposizione un pianoforte ho cominciato a comporre. Il mio pianoforte non era né uno Steinway né un Gaveau; era uno strumento molto vecchio, dal suono secco e del tutto ostile alla dolcezza per cui era stato progettato. Mi misi subito a comporre, senza riflettere. Una cosa curiosa: non avevo ancora imparato né ascoltato nulla, o se l’avevo fatto, pochissimo. Non avevo nessuno che mi guidasse, e tuttavia, ancora piccolo, ero pienamente convinto di essere un compositore. Certo, non avevo con me nient’altro che il Metodo per violino di Bériot, non avevo alcuna idea dell’armonia né del contrappunto. Ma si può comporre anche ignorando le regole, l’importante è che si abbia intuito. Siccome un bambino è piccolo, si pensa che porti con sé dei sogni minuscoli. Che errore! Nel 1888 compio sette anni. La notizia di un’epidemia di difterite si diffonde nel paese. I miei genitori, che hanno visto morire cinque figli a causa di questa terribile malattia, si preparano a lasciare immediatamente la regione. Ma prima della partenza mi accompagnano di nuovo da Caudella: attenzione ai violini e alla rabbia del piccolo Enescu! Ma adesso sono grande e ascolto saggiamente i consigli del professore. Ciò che ha detto quel giorno ai miei genitori è stato più confortante: “Bisogna coltivare i doni di questo bambino e mandarlo a studiare a Vienna”. Perciò mi accingo ad abbandonare il mio ambiente campagnolo, accogliente, felice, fatto d’intesa vicendevole tra i padroni ed i servitori. Per fortuna ritornerò tutte le estati per le vacanze.턢