Classic Voice

CARA Romania

Il compositor­e romeno per antonomasi­a racconta la sua infanzia ribelle nella periferia d’Europa. Che lasciò per un’epidemia

- DI GEORGE ENESCU

La musica popolare rumena sprigiona un’insolita malinconia. Non sono ancora convinto che la parola “malinconia” sia la più corretta. Per me questa musica è prima di tutto quella dei sogni, perché tende ostinatame­nte al minore, che è lo stesso colore dei pensieri nostalgici. Gli intervalli melodici ricordano chiarament­e l’Oriente; in generale, i ritmi sono semplici e simmetrici (2/4, 6/8) con dei periodi ben precisi di quattro e otto battute che li distinguon­o dai ritmi dispari, disposti su cinque o sette battute, caratteris­tici di alcuni paesi balcanici. Ho sempre pensato che questo senso di simmetria fosse un lascito della nostra latinità. A Liveni mi

sentivo perduto così come, 75 anni prima, Franz Liszt a Raiding, nell’angolo più sperduto dell’Ungheria. Quando compii 5 anni mi accompagna­rono a Iasi per presentarm­i a un allievo di Vieuxtemps che si chiamava Caudella. Arrivati da lui, scorsi due bei violini sul suo pianoforte e Caudella, dandomi un buffetto sulla guancia, mi disse con gentilezza: “Ebbene, piccolo mio, vorresti suonarmi qualcosa?”. “Suonate prima voi, così posso vedere se lo sapete fare!”, risposi. Mio padre si precipitò a farmi chiedere scusa a Caudella, che nonostante il mio pessimo carattere ebbe la bontà di incoraggia­rmi: era un uomo che non portava rancore. Perciò raccomandò che mi si facesse imparare la notazione musicale. Un nostro vicino di casa, ingegnere di profession­e, mi insegnò i primi rudimenti della scrittura musicale: era molto modesto, ma grazie a lui ho imparato a leggere e a scrivere i piccoli pezzi facili che mi dava da ricopiare. Da quando ho avuto a disposizio­ne un pianoforte ho cominciato a comporre. Il mio pianoforte non era né uno Steinway né un Gaveau; era uno strumento molto vecchio, dal suono secco e del tutto ostile alla dolcezza per cui era stato progettato. Mi misi subito a comporre, senza riflettere. Una cosa curiosa: non avevo ancora imparato né ascoltato nulla, o se l’avevo fatto, pochissimo. Non avevo nessuno che mi guidasse, e tuttavia, ancora piccolo, ero pienamente convinto di essere un compositor­e. Certo, non avevo con me nient’altro che il Metodo per violino di Bériot, non avevo alcuna idea dell’armonia né del contrappun­to. Ma si può comporre anche ignorando le regole, l’importante è che si abbia intuito. Siccome un bambino è piccolo, si pensa che porti con sé dei sogni minuscoli. Che errore! Nel 1888 compio sette anni. La notizia di un’epidemia di difterite si diffonde nel paese. I miei genitori, che hanno visto morire cinque figli a causa di questa terribile malattia, si preparano a lasciare immediatam­ente la regione. Ma prima della partenza mi accompagna­no di nuovo da Caudella: attenzione ai violini e alla rabbia del piccolo Enescu! Ma adesso sono grande e ascolto saggiament­e i consigli del professore. Ciò che ha detto quel giorno ai miei genitori è stato più confortant­e: “Bisogna coltivare i doni di questo bambino e mandarlo a studiare a Vienna”. Perciò mi accingo ad abbandonar­e il mio ambiente campagnolo, accoglient­e, felice, fatto d’intesa vicendevol­e tra i padroni ed i servitori. Per fortuna ritornerò tutte le estati per le vacanze.턢

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Una banconota da 5 lei (1 euro) con il volto di George Enescu
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