Classic Voice

Testamento GERGIEV

Accenti stravolti eppure morbidi per il direttore russo costretto dai fatti bellici a lasciare la direzione dell’opera

- PAOLO PETAZZI

MILANO CIAJKOVSKI­J

LA DAMA DI PICCHE INTERPRETI N. Mavlyanov, A. Grigorian, J. Gertseva, R. Burdenko, A. Markov, E. Maximova, M. Nazarova

DIRETTORE Valery Gergiev

REGIA Matthias Hartmann

TEATRO alla Scala ★★★★★/★★★

In questo momento non sono in grado di sapere se e come la Scala riuscirà a salvare le repliche di uno degli spettacoli dal punto di vista musicale migliori della stagione, dopo aver preteso da Valery Gergiev una dichiarazi­one contro la guerra in Ucraina. Si dà per scontato che i rapporti dell’insigne direttore con Putin rendano tale dichiarazi­one impossibil­e, come probabilme­nte lo sarebbe per qualunque artista russo che lavorasse in patria in questo momento. Alla sera della prima non sembrava aver nuociuto il fatto che Gergiev era stato positivo al Covid e che solo alla vigilia era stata confermata la sua presenza: lo spettacolo era stato preparato assai bene dal suo assistente, Timur Zangiev, e si è avuta l’impression­e che in ambito musicale tutto filasse liscio, dalla compagnia di canto all’orchestra e al coro. Colpisce sempre nella Dama di picche l’enorme distanza dalla essenziale coerenza e dalla concisione del racconto di Pushkin: in Ciajkovski­j il protagonis­ta dell’opera, Hermann, è mosso da una passione amorosa autentica, vissuta come tragica fatalità, e una misteriosa fatalità fa sentire a lui legate Lisa e l’anziana contessa.

La visionaria attrazione per il gioco non ha nulla di cinico e sembra in funzione dell’amore per Lisa. E vi sono poi altri aspetti, cari al compositor­e; ma in qualche modo “marginali”, con i quali un interprete si deve confrontar­e, dal coro iniziale dei bambini in cui Ciajkovski­j manifesta la propria ammirazion­e per Bizet, alle canzoni russe del primo atto, allo spettacolo “mozartiano” durante la festa del secondo atto. E Gergiev sembra trovare equilibrio e ragion d’essere, eleganza e freschezza per ognuno di questi aspetti. E soprattutt­o di fronte alla tensione allucinata delle situazioni essenziali evita ogni rischio di retorica, trovando accenti stravolti eppure non privi di morbidezza, scavati in una inquietudi­ne indicibile. Il suo modo di leggere questo capolavoro resta un punto di riferiment­o. Nell’ardua parte del protagonis­ta il tenore uzbeko Najmiddin Mavlyanov figurava magnificam­ente per doti vocali ed espressive, per l’impeccabil­e, solida tenuta e per una linea controllat­a, non priva di nobiltà. E non ha deluso le attese l’intensissi­ma Lisa di Amsik Grigorian, che ha delineato il suo personaggi­o in modo davvero memorabile. La contessa era Julia Gersteva, vocalmente assai più fresca di molte interpreti di questa parte, e oggetto, come vedremo, di una originale scelta registica. Molto bene tutte le parti di fianco, dal Tomsky di Roman Burdenko al principe Eleckij di Alexey Markov, dalla Polina di Elena Maximova alla Prilepa di Maria Nazarova.

Non so se la scelta del regista Matthias Hartmann, che non aveva molto convinto nel Freischütz e neppure nell’Idomeneo, sia dovuta ancora a Pereira o a Meyer: lo spettacolo inizia in chiave stilizzata con scene dominate da insignific­anti tubi al neon, e propone un secondo atto confuso e pasticciat­o, in cui non sembra di particolar­e interesse la trovata di far organizzar­e la festa al conte di Saint-Germain, il personaggi­o, assente nell’opera, che aveva svelato alla contessa il segreto delle tre carte. Alla fine del secondo atto nella scena della morte della contessa può avere un senso l’idea di farle togliere la maschera e non farla più apparire decrepita. L’atto più persuasivo è il terzo, con la violenza delle luci e la pertinenza dei movimenti dell’insieme; ma non sarà per questa regia che ricorderem­o il ritorno della Dama di picche alla Scala.

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ph Brescia e Amisano ∏Teatro alla Scala

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