Classic Voice

Angela di FUOCO

Il soprano americano non ha solo volume ma anche la soavità necessaria per una scena finale che non si dimentiche­rà. Ottimo il cast

- ALBERTO MATTIOLI

GENOVA DONIZETTI

ANNA BOLENA

INTERPRETI A. Meade, S. Ganassi, J. Osborn, N. Ulivieri, M. Comparato

DIRETTORE Sesto Quatrini

REGIA Alfonso Antoniozzi

TEATRO Carlo Felice ★★★★

L’importante era non sedersi troppo avanti, per non farsi spettinare dall’onda sonora generata da Angela Meade (il sottoscrit­to non ha corso il rischio per mancanza di materia prima). Però il soprano americano non è solo un vocione “di quelli di una volta” rimpianti dai melomani più agé. Il timbro è bello, la dinamica amplissima, il fraseggio raffinato. Le agilità svelano qualche difficoltà, le stesse di parcheggia­re un panzer, ma non tanto da rovinare una scena finale che resterà a lungo nella memoria e forse nel rimpianto, quando anche Meade diventerà una di quelle vocalità sì grandi e perdute “di una volta”. Non so se costituisc­a reato di body shaming notare che anche l’aspetto è imponente, però Gianluca Falaschi è riuscito nella missione evidenteme­nte non impossibil­e di snellirlo. In ogni caso, chapeau alla resistenza fisica della signora che, a causa del Covid, ha sostituito la sua sostituta cantando tre Bolene in tre giorni. Sempre a causa del Covid, John Osborn è arrivato alla prima padroneggi­ando, di Percy, le arie ma non i recitativi. Qualche momento di acuto imbarazzo c’è stato, però Osborn è uno dei pochi tenori in grado non solo di cantare questa parte ma di darle anche un senso, grazie all’uso smaliziato del registro di testa e delle mezzevoci. La tecnica e l’intelligen­za di Sonia Ganassi (Seymour) sono intatte, la voce un po’ meno; Nicola Ulivieri è un Enrico solido e convincent­e ma forse non abbastanza protervo e Marina Comparato, prevedibil­mente, un ottimo Smeton. Sesto Quatrini è uno dei non molti direttori che consideran­o questo repertorio un’opportunit­à e non una condanna, e di conseguenz­a lo fa benissimo. Sarebbe una Bolena esemplare se non ci fosse qualche stravaganz­a testuale, con alcuni cantanti che tagliano i daccapo delle cabalette, altri che li eseguono e Osborn che canta quello della prima aria ma non quello della seconda. Facile supporre che sia stata fatta la loro volontà e non quella del direttore, ma insomma forse è “filologia” anche questa. La Bolena ha una di quelle tipiche drammaturg­ie “bloccate” di Romani a uso della Pasta: in pratica, non succede granché, se non un gran prevedere sventure e poi lamentarse­ne quando puntualmen­te si verificano. Lo spettacolo di Alfonso Antoniozzi è quindi statico ma non rinunciata­rio, inquadrato nei pochi segni scenici di Monica Manganelli: e funziona.

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