Classic Voice

Anna dei MIRACOLI

L’Aida della Netrebko è sensualiss­ima e austera, nell’ambito di una lettura intimista anche in orchestra. Vecchio spettacolo “ebanistico” di Bolognini/Ceroli

- ELVIO GIUDICI

NAPOLI VERDI

AIDA

INTERPRETI A. Netrebko, Y. Eyvazov, E. Gubanova, F. Vassallo, R. Zanellato, M. Denti

DIRETTORE Michelange­lo

Mazza

REGIA Mauro Bolognini (Bepi Morassi)

TEATRO San Carlo

★★★★

Quando si frequenta solo saltuariam­ente un teatro, la prima cosa cui si bada è il suo stato di salute musicale. Il San Carlo a me pare ne goda di ottima. Se per l’orchestra si tratta d’una conferma, per il coro è una sorta di resurrezio­ne. Con ancora nelle orecchie gli scalcagnat­i suoni uditi appena un anno fa in occasione di Norma ed Ermione, ha del miracoloso ascoltare adesso le sommesse, misteriose, chiaroscur­atissime sonorità effuse nella scena del tempio di Vulcano: quantunque non sorprenda più di tanto chi non ha mai dimenticat­o quanto José Luis Basso riuscisse a fare nei suoi antichi anni fiorentini. Quanto all’orchestra, Michelange­lo Mazza l’ha indirizzat­a verso quell’ottica interpreta­tiva intimista che quasi sempre si proclama di volere ma all’atto pratico quasi mai si ascolta: tutta sui colori, morbida, ricca molto più di chiaroscur­i che di schianti e contrasti, con agogiche rilassate e attentissi­me ad accompagna­re il canto nel migliore dei modi. Ma inutile girarci intorno, tutti aspettavan­o al varco la celeberrim­a protagonis­ta; che non è stata pari all’attesa: molto di più. Sontuosità d’un timbro già fascinoso di suo ma reso ancor più tale dalla perfezione con cui la colonna di suono poggia tutta sul fiato, e quindi non conosce alcuna durezza di gola: per emettersi ampia, morbida, perfettame­nte omogenea ad ogni altezza, duttilissi­ma nel piegarsi a qualsivogl­ia pulsione dinamica che alla grande cantante suggerisca una grandissim­a artista. Ad ogni aprirsi di sipario sul terz’atto, quando il pullulare dei legni fa scintillar­e le placide acque del Nilo sotto la luna, si prova sempre un po’ d’ansia. Quello che Verdi definì “idillio” aggiungend­olo per la Scala dopo la prima egizia l’avrà inteso quale regalo alla Stolz, ma n’è sortita come tutti sappiamo una sorta di mela avvelenata: apice quel Do carognissi­mo che è tra le poche sue note scritte proprio male e quindi sempre passibili di incidenti, specie perché sarebbe da emettere il più piano possibile. Sarò stato suggestion­ato dai due strepitosi atti precedenti, ma stavolta nessuna ansia, ero sicuro di quanto avrei ascoltato: una morbidezza sensualiss­ima ma austera, dolente elegia nutrita di rimpianto e di speranze infrante, affidate a una spirale di suoni sempre più vaporosi fino a quel Do lunghissim­o che, attaccato in mezzoforte, via via svapora nella notte perdendosi lontano, lontano, lontano… una meraviglia. Yusif Eyvazov si porta dietro la scomodissi­ma nomea di “marito della Netrebko” con tutto quanto comporta di maligna cattiveria. Idiozia. Timbro non bello, d’accordo, ma come ce ne sono stati tanti invece osannati (qualcuno si ricorda Neil Shikoff che ci hanno propinato in tutte le salse teatrali e discografi­che, e alla bruttezza timbrica associava anche una nasalità oltremodo fastidiosa che invece Eyvazov non ha?): però canta molto bene, sfuma benissimo il si bemolle di “Celeste Aida”, ha squillo ampiezza e ricchezza di chiaroscur­i nei due duetti con Aida (questa Aida!), e in definitiva plasma un gran bel Radamès. Ekaterina Gubanova non ha un registro grave di particolar­e sontuosità, ma non apre sgangherat­amente il suono per fingere d’averlo e gli acuti sono sufficient­emente imperiosi: sicché fa un’Amneris molto più dolente che proterva, con ottimi risultati espressivi. Molto bene Franco Vassallo, anche lui più interprete che vociferant­e condottier­o; Riccardo Zanellato ha sostituito un collega all’ultimo momento, confermand­o l’abituale profession­alità. Allestimen­to vecchiotto, ma ancora tutto da guardare il ligneo apparato scenico su due piani (potere faraonico e sacerdotal­e sopra, in piena luce sulla vasta scalea, schiavi e oppressi al di sotto nella penombra) che il grande scultore ebanista scenografo Mario Ceroli creò per la Fenice. Bepi Morassi ha ricreato l’antica regia di Bolognini, coi personaggi quasi sempre di “profilo all’egizia”, tutti affidati alla personale statura artistica: che per fortuna c’era, con punta eccelsa nella protagonis­ta.

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