PASSAGGIO a NORD-Est
Nato a Kharkiv, diplomato a Mosca: Valerij Voskobojnikov racconta l’epoca in cui Russia e Ucraina non avevano confini musicali. “A formare la nostra identità è stata l’Europa”
Ucraina, Russia, Europa. E il convitato di pietra Unione Sovietica. Quando si parla di influenze artistiche, non c’è mappa che possa ridurre tutto a uno schema di “dare/avere”. Lo sa bene Valerij Voskobojnikov, che ha dedicato la sua vita alla divulgazione del repertorio russo, spesso in prima esecuzione italiana, da Bortnjanskij alla Gubaidulina.
Voskobojnikov, lei è nato nel 1939 a Kharkiv. Poi ha studiato al Conservatorio “Ciajkovskij” di Mosca con il celebre pianista Heinrich Neuhaus. Ma dal 1965 vive a Roma.
“Non sono un testimone oculare di ciò che è accaduto in Unione Sovietica e poi in Russia nell’ultimo mezzo secolo. In Ucraina sono nato, ma la mia formazione è russa. Me ne andai da Mosca come dissidente di Breznev”.
Ciò che Putin sta cercando di far trapelare è che non esisterebbe una realtà ucraina autonoma. È così?
“Da inizio anni Novanta l’Ucraina è ormai indipendente in tutto, e ha riavviato le ricerche sul proprio passato. Quando andavo a scuola, a Kharkiv l’ucraino era ancora la seconda lingua. Ci sono ottimi conservatori di musica a Kiev e a Leopoli, città molto importante: basti pensare che ci lavorò per decenni, e ci è pure sepolto, Franz Xaver Mozart, uno dei figli di Wolfgang Amadeus”.
L’elenco di musicisti ucraini è sterminato.
“È così: bisognerebbe citare Vladimir Horowitz, nato a Kiev. O Svjatoslav Richter, di Zytomir. E poi andremmo su Emil Gilel’s, di Odessa al pari di Shura Cherkassky. Non parliamo della scuola violinistica di Odessa: Nathan Milstein, David Oistrakh, Zachar Bron...”.
Richter, ad esempio, si sentiva ucraino o russo?
“Niente di tutto questo. Una volta qualcuno scrisse ‘pianista ucraino’ su un programma di sala per Santa Cecilia. Si arrabbiò tantissimo. Ma non perché l’avessero chiamato ‘ucraino’. Lui si sentiva fedele alla formazione tedesca: il nonno paterno, del resto, lo era. A Odessa tra l’altro lo legano ricordi bruttissimi, perché lì nel 1941 l’Nkvd fucilò suo padre Teofil Danilovic, accusato ingiustamente di tradimento. Chissà, oggi forse Richter sarebbe di nuovo orgoglioso di essere chiamato ucraino, ma di sicuro le sue radici sono in Mitteleuropa. Forse si sentiva quasi viennese”.
Anche Neuhaus era ucraino.
“Fino a qualche anno fa avremmo scritto ‘sovietico’. Oggi non saprei come definirlo: di sicuro è nato in Ucraina, da padre tedesco e madre polacca, e ha vissuto tra Pietrogrado, Kiev, Mosca (dove ascoltò Busoni) e pure in Georgia. Ecco, sicuramente non era solamente russo”.
Un cosmopolita, allora.
“Sì, è più corretto considerarlo un esponente della cultura universale. I suoi allievi del resto sono sparsi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone”.
I confini allora sono solo sulla carta?
“Francamente sono molto disorientato da quello che sta accadendo. Una volta eravamo cento nazioni diverse unite da una collaborazione fraterna. Non c’era nemmeno bisogno di sottolineare il fatto che uno fosse nato a Kiev o a Mosca. E poi, se vogliamo rimanere in ambito pianistico, il mondo russo senza l’Europa non esisterebbe”.
Ovvero?
“La scuola pianistica ‘russa’ nasce in Occidente. Fino a inizio ‘800 la musica professionale in Russia non esisteva. Basti pensare che i primi due conservatori, San Pietroburgo e Mosca, appaiono negli anni ‘60 dell’800 con Nikolaj e Anton Rubinstein. E quest’ultimo studia in Europa, guardando a Liszt. Questo non significa che in Russia e in Ucraina non sia esistita musica autoctona”.
Ma esiste un carattere ucraino?
“C’è un melos ucraino, certo. Ed è una forma di canto popolare che ha influenzato tantissimo i compositori. Ciajkovskij scrive l’opera Mazeppa, sulla figura del comandante cosacco; e poi usa temi ucraini nella Sinfonia n. 2, chiamata Piccola Russia, e nella Quarta. Ma anche nel primo Concerto si ascolta un tema popolare ucraino, così come nell’Ouverture 1812, basata su un canto liturgico di Kiev”.
Il discorso potrebbe durare all’infinito...
“Certo, e andremmo a parlare di Prokof’ev, Lyatoshinksy, Kos-Anatolsky e tanti altri compositori ucraini di nascita, senza bisogno di tracciare confini. Mi permetto un suggerimento di ascolto: la Sinfonia ‘Babij Yar” dell’ucraino Dmitrij Klebanov, scritta molti anni prima di quella, più famosa, di Sostakovic. È un lavoro magnifico, ma fu vietato perché il regime sovietico voleva impedire le commemorazioni ebraiche. Klebanov fu addirittura destituito dalla carica di presidente dell’Unione dei compositori di Kharkiv e accusato di ‘distorsione della verità storica sul popolo sovietico’”.