TEATRI di guerra
Da Kiev la testimonianza di Anna Gadetska, musicologa in prima linea. “Ci rialzeremo. Ma i rapporti con la cultura russa non saranno più come prima”
“Il silenzio degli intellettuali russi ha nutrito il mostro Putin”. Anna Gadetska, musicologa responsabile della Open Opera Ukraine, riassume così lo sfondo culturale della guerra. Un attacco diretto agli artisti che non hanno rinnegato il governo di Mosca né la sua aggressione ad un popolo fino a ieri considerato fratello. Parole dure, che arrivano mentre alla Triennale di Milano è in corso un panel di preparazione del Padiglione Ucraina alla 23° Esposizione Internazionale che si aprirà a inizio estate. La sua testimonianza ci giunge sotto i bombardamenti, in una giornata di inizio marzo, la quindicesima da quando è cominciato l’attacco russo.
Anna Gadetska, si può parlare di silenzio colpevole?
“Purtroppo molti di quelli che abbiamo considerato colleghi e persino amici, in Russia, rimangono in silenzio. In genere il massimo che riescono a dire è: ‘Abbiate pazienza, carissimi, stiamo pregando per voi. Chiediamo solo la pace’. E magari uniscono l’immagine di una colomba con un ramoscello d’ulivo nel becco. Per me questo è infantilismo sia da un punto di vista personale, sia civico. C’è chi dubita addirittura che la guerra sia reale. Dove sono ora gli intellettuali russi? C’è chi oggi ci chiede: quando sarà tutto finito faremo ancora progetti comuni? Questa posizione servile della stragrande maggioranza degli intellettuali russi è impressionante. Perché il loro silenzio ha nutrito un mostro che terrorizza il mondo intero”.
Sono tutti così? O c’è un fronte “disallineato”?
“Ci sono anche quelli che protestano da anni e che non hanno mai firmato lettere aperte di approvazione per l’operazione di annessione alla Crimea. Costoro provano vergogna e senso di colpa, disgusto, e alcuni ne parlano anche apertamente. Deve essere difficile per loro. Per questo molti hanno scelto di emigrare anziché essere complici di Putin. La cultura russa e ucraina sono diverse. Questa guerra lo ha mostrato chiaramente. Se i russi non verranno condannati o non faranno ammenda temo che non saremo in grado di ripristinare alcun rapporto”.
Di cosa si occupa la sua organizzazione?
“Open Opera Ukraine è un’ente indipendente, ma abbiamo organici permanenti, come l’orchestra barocca “Kryla”, l’ensemble vocale “Partes”, e due cori amatoriali, “B.a.c.h.”, a vocazione barocca, e “Holosni”. Oggi tutte queste persone si trovano in luoghi diversi. Dipende dalla condizione di vita di ciascuno: chi ha figli va perlopiù verso l’Ucraina occidentale o direttamente all’estero. Gli uomini rimangono tutti in Ucraina. Tra i nostri musicisti c’è chi si è arruolato aderendo al nucleo Territoriale di Difesa, quindi ora stanno combattendo in prima linea. Abbiamo diverse chat in cui cerchiamo di tenere alto il morale ogni giorno. Ci aiuta a conservare un senso di unità”.
Ci può raccontare come state vivendo lei e la sua famiglia?
“Mio marito ed io siamo rimasti a Kiev fin dall’inizio della guerra. In pieno centro non lontano da Khreshchatyk, la strada principale. Ogni giorno porta una nuova esperienza che non avevamo mai fatto prima. E che spero non faremo mai più. Ad inizio invasione scappavamo ad ogni allarme. Correvamo nel rifugio più vicino, che nel nostro caso è la metropolitana. Dopo qualche tempo, come tutti a Kiev, abbiamo ricominciato la nostra vita tra un allarme e l’altro. Le persone hanno bisogno di uscire per cercare da mangiare, portare qualcosa a chi rimane nei bunker, andare alla stazione ad accompagnare i parenti. Il coprifuoco inizia alle 20 e finisce alle 7 del mattino. In quel lasso di tempo è vietato uscire di casa e non si possono accendere luci. Così noi viviamo nel corridoio, il posto più sicuro della casa. Ogni mattina facciamo l’appello, controlliamo come è passata la notte. Mio marito e alcuni amici hanno iniziato a girare un documentario: la mattina vanno in giro per la città, mentre io mi occupo del cibo. A volte possiamo leggere un poco. Pensare alla musica, ascoltarla e pianificare qualcosa non è ancora possibile. Per fortuna il supporto delle persone intorno a noi è semplicemente fantastico. C’è unità, fede, mutua assistenza, anche se la nostra vita sembra un conto alla rovescia”.
Che sta succedendo alla vostra associazione e ai programma di Open Opera?
“Ora la nostra intera organizzazione, come tutto il Paese, si sta adoperando per vincere questa guerra. Ognuno a modo suo. Non c’è né tempo né spazio per l’arte oggi. L’unica cosa che possiamo fare ora è attirare l’attenzione del mondo sulla terribile situazione dell’Ucraina. Un ragazzo del nostro coro amatoriale registra ogni giorno a casa canzoni patriottiche ucraine. Ne fa una versione polifonica, poi canta sulla base. Lo fa per sostenere il Paese, dato che la canzone per gli ucraini è una parte importante del loro codice genetico. Spero che presto saremo in grado di tornare alla vita senza sirene e rifugi, senza tremare per i nostri cari. Appena sarà possibile vorremmo mettere in scena l’opera Demofoonte, alla quale stavamo lavorando”.
Molti teatri ed auditorium sono sotto le bombe. Cosa si prova di fronte a questa tragedia non solo umanitaria ma anche culturale?
“Al momento tutti i teatri di Kiev sono sopravvissuti. Proprio come quelli di Leopoli e Odessa. Ma la distruzione a Kharkiv, Chernihiv e Mariupol è totale. Come mi sento? Provo una rabbia terribile. Noi non perdoneremo mai. Ma ricostruiremo e torneremo, questo è certo. È bello sapere che le istituzioni culturali stanno proteggendo le loro opere dai bombardamenti: spostano i reperti in luoghi sicuri, li coprono e imballano all’esterno. Questo si può fare, per ora”.