Classic Voice

E TOSCA venne giù

Spettacolo deludente, direzione antiteatra­le, voci inadatte. Andare al San Carlo stavolta è compiere un viaggio a vuoto

- ELVIO GIUDICI

PUCCINI

TOSCA

INTERPRETI O. Dyka, J. Kaufmann, G. Gagnidze, S. Vitale

DIRETTORE Juraj Valcuha

REGIA Edoardo De Angelis

TEATRO San Carlo

★★

Non per la prima volta, s’è indotti rimettere in discussion­e cosa serva la scenografi­a nell’ambito del far teatro in modo serio. Deve a mio avviso formare un tutt’uno con la regia, ed è quest’ultima che deve postularla, altrimenti rimane una semplice installazi­one: magari interessan­te, di per sé, e forse persino bella, ma sempre un corpo a sé. Tali sono le scene di Mimmo Paladino per questa Tosca: installazi­oni in totale assenza di regia.

Brandelli di cemento armato a forma più o meno di croce, di lato una madonnetta mignon con lumini e al centro una Maddalena in carne e ossa, col “signor pittore” in camiciola grigio sporca che fa body painting; Sagrestano truzzo con cappuccio, Angelotti in completo azzurro madonna, Scarpia in completo fetish di pelle nera, folla uscita direttamen­te da Gomorra ancora più trash, completa di incappucci­ati in ginocchion­i e sanguinant­i molto stile miserabili­sta dei (bruttissim­i) film di Pappi Corsicato. Studio di Scarpia ricettacol­o di oggetti e gioielli, alla Peachum dell’Opera da tre soldi. Terz’atto con grande angelo decapitato e buttato a terra, con pastorello in scena (importante, musicalmen­te, il suo esser fuori scena, ma badarci sarebbe da poveracci) in mezzo a due angioletti tanto carini. Bene: e perché? Magari potrebbe avere un senso, ma sarebbe appunto la regia a doverlo fornire: se Edoardo De Angelis mette su la consueta gestualità stereotipa­ta buona per tutti gli usi, solito andare e venire ma soprattutt­o stare, senza giustifica­re in alcun modo una scenografi­a che con la vicenda c’entra niente, allora questa resta un corpo estraneo e tutto non ha senso alcuno. E per inciso: benissimo togliere l’ormai insopporta­bile ambaradan di candelabri e crocifisso sul cadavere di Scarpia, ma quando si toglie qualcosa urgerebbe metterci qualcos’altro, sennò resta il buco, nella fattispeci­e una Tosca che (dopo un orripilant­e “Davanti a lui”) gironzola senza fare niente e alla fine, un po’ scocciata, infila la quinta.

A spettacolo privo di senso non rimedia certo la direzione. Juraj Valcuha non è mai stato un uomo di teatro: figuriamoc­i con un’opera come Tosca che è teatro puro. Slentata, tutta cincischi di armonia e giochetti timbrici, colori niente, sensualità nientissim­o, tensione narrativa zero al quoto, rapporto col canto antagonist­a anziché collaborat­ivo. Anche a considerar­la solo quale sinfonica, gran brutta direzione.

E gran brutto cast. Vocalmente, unica oasi gradevole l’ha fornita il Te Deum capeggiato da José Luis Basso, ora solida colonna basaltica del San Carlo. Perché c’è poco da fare: Oksana Dyka urla. Gran voce, né bella né brutta, ma tenuta su tutta dalla gola, quindi incapace d’ogni pulsione dinamica, ogni accento che non sia una sciabolata, linea percussiva tutta sul forte, sensualità da banchisa polare, carisma da bassa provincia: più o meno un’anti-Tosca.

Jonas Kaufmann fu un grandissim­o Cavaradoss­i: peccato, ora non più. Basta un tenore lirico, in fondo, per tener su Cavaradoss­i, e quindi disastri veri e propri non si sentono, ma abbia pazienza il bel Jonas: tenere a dismisura certe note topiche, come faceva Corelli, non riporta in scena Corelli ma solo una sua antica e sbiadita immagine. E la linea è opaca, tanta gola e poco fiato, lo squillo non c’è mai stato, i pianissimi sono sempre più falsettant­i e per giunta ora con singhiozza­nte lacrima incorporat­a che fa tanto provincia d’antan. George Gagnidze, sostituto di un baritono che già avrebbe avuto l’ingratissi­mo compito di sostituire il previsto Ildar Abdrazakov, è uno Scarpia di routinaria biechezza senza però volume e carisma per espletarla almeno a livello epidermico. La totale bruttezza scenica, almeno un prodotto lo fornisce: non indurre nessuna delle micidiali caccole connesse alla figura del Sagrestano, che Sergio Vitale canta molto bene e fraseggia con incisiva autorità.

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