Se FAUST è fragile
Direzione (pesante), regia di buone intenzioni e qualche forzatura salvate dal cast
GOUNOD
FAUST
INTERPRETI I. A. Rivas, A. Esposito, C. Remigio, A. Noguera, P. Gardina
DIRETTORE Frédéric Chaslin
REGIA Joan Anton Rechi
SCENE Sebastian Ellrich
TEATRO La Fenice ★★★/★★★★
Ètornato a Venezia il Faust di Gounod, con gli stessi interpreti dello spettacolo del giugno 2021, che, condizionato dal Covid, si era svolto in gran parte in platea. Questa volta il regista Joan Anton Rechi poteva contare sull’efficienza della struttura scenica ideata da Sebastian Ellrich e poteva alludere con insistenza e con variabile pertinenza al mondo del cinema. Non sempre le allusioni erano efficaci e persuasive, e restava l’inclinazione a qualche eccesso discutibile; ma Rechi ha un’idea pienamente condivisibile quando afferma di considerare essenziale nell’opera il desiderio dell’eterna giovinezza: il grande anelito di Faust, lo streben che in Goethe lo salva, si riduce in Gounod ad una dimensione ben definita, fatta di piaceri, carezze, giovani fanciulle ed ebbrezza amorosa. Nella regia di Rechi Mefistofele, che già l’anno scorso aveva nell’azione scenica un ruolo determinante, diventa un vero e proprio regista (quando non partecipa al Sabba in vesti femminili). Si accentua così la fragilità del personaggio di Faust, che tuttavia nell’opera di Gounod è poco più di un ragazzotto maldestro: in comune con il personaggio di Goethe ha soltanto la suggestione del nome e combina disastri mettendo incinta e abbandonando la povera Margherita. Mefistofele regista spadroneggia in scena, anche perché la concezione di Rechi offre ad Alex Esposito, autorevolissimo e vocalmente magnifico, l’occasione di scatenare la sua vena istrionica in un contesto pertinente. La coerenza della concezione registica crea qualche forzatura nell’ultima scena, cui viene sottratto molto incenso quando Marguerite ormai folle rifiuta la fuga offertale da Faust e Mefistofele e muore tagliandosi la gola. In ogni caso qui come in tutta la sua parte, nell’aria dei gioielli come nel dialogo con Faust o nella scena in chiesa, Carmela Remigio è stata una Marguerite di rara intensità, nell’abbandono amoroso come nella disperazione, musicalmente e scenicamente. Un Faust stilisticamente adeguato era Ivan Ayon Rivas, e accanto ai tre protagonisti figuravano bene Armando Noguera, autorevole Valentin, e Paola Gardina, bravissima nei panni dell’adolescente Siebel. Purtroppo il direttore d’orchestra non era all’altezza della compagnia di canto, che era l’aspetto migliore del Faust veneziano.
A grandi linee Frédéric Chaslin si atteneva a una solida tradizione, e aveva un poco attenuato l’insistenza sul fortissimo che caratterizzava la sua interpretazione nel 2021; ma dispiace dire che, pur nella complessiva pertinenza, la sua visione appariva povera di colori e di sfumature, confinata tra il forte, il fortissimo e il mezzo forte.