Dove sei, MAHAGONNY?
Intuizioni senza affondi nel titolo-simbolo della Repubblica di Weimar
WEILL
ASCESA E CADUTA DELLA CITTÀ DI MAHAGONNY
INTERPRETI A. Kolosova, M. Frey, N. Mchantaf, S. Schnorr, C. Merritt, C. Lemmings, J. Häcler
DIRETTORE Christopher Franklin
ORCHESTRA Toscanini
REGIA Henning Brockhaus
TEATRO Regio
★★★
Le denunce contro il capitalismo sfrenato sono un retaggio novecentesco: oggi le masse lavoratrici votano a destra, con buona pace di Brecht. Eppure la forza di Mahagonny, a 92 anni dalla sua apparizione, è ancora intatta. “Ehi gente, qui c’è uno che non può pagare i suoi debiti: spudorato, pazzo, delinquente! Ovvio, lo aspetta la forca”, spiega bene Moses, quando la surreale trama di quest’opera imbocca il punto di non ritorno verso la condanna a morte di Jim, reo di non avere soldi. Parma aveva scommesso su questo titolo durante l’anno (diventato biennio) da capitale italiana della cultura. Il lungo rinvio non ha del tutto giovato a uno spettacolo che, al debutto, appariva ancora stretto in una camicia di forza, complici tre defezioni dell’ultimo minuto per Covid. Rivista, questa produzione ha liberato parte del suo potenziale, lasciando però inevasa la domanda principale: che cos’è oggi Mahagonny? Chi sarebbero, oggi, i suoi fondatori? Senza rispondere, Brockhaus rimane nel perimetro del già noto e ricorre a un immaginario convenzionale (con gran profusione di ballerine a petto nudo). Ma la violenza del testo, i rapporti di forza tra i personaggi, il senso di perdizione senza redenzione riescono a emergere solo a sprazzi, come accade per esempio nell’efficace carrello della spesa usato come sedia elettrica e nell’inquietante coro finale di un quarto stato di mummie senza orbite oculari. Franklin fa procedere lo spettacolo senza indecisioni, ma non sempre riesce a far graffiare l’orchestra, come invece riesce a fare l’ottimo coro, che canta questo titolo come se l’avesse sempre fatto. E invece, a Parma, era la prima volta.