Classic Voice

MY LIFE IN MUSIC

- LUCA CHIERICI

PIANOFORTE Ruth

Slenczynsk­a CD Decca 4852255

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Confesso di non avere mai ascoltato nulla, sino a oggi, della produzione di questa pianista nata nel 1925 e oggi scelta dalla Decca per un disco commemorat­ivo della sua lunghissim­a carriera. Incidere a 96 anni un programma come quello contenuto in questo cd,

invero non difficilis­simo, è impresa che può ricadere nel campo della curiosità o appunto dell’omaggio a una grande carriera. Non mi sembra che in questo caso ci troviamo di fronte alla seconda ipotesi. Insomma, per quanto le notizie pubblicate in rete e le note di copertina del disco insistano nel presentarc­i un prodigio che non solo ha frequentat­o, anche come allieva, i massimi pianisti della “golden age” ma che ha rivestito un ruolo importante nella storia del disco, mi sembra che qui siamo ben lontani da un possibile confronto con altri “grandi vecchi” come Horszowski, per non riferirci a ben altre peronalità che hanno calcato i palcosceni­ci fino a trada età dopo avere percorso un carriera ai massimi livelli. La Slenczynsk­a, se teniamo per buone le notizie che ad esempio si trovano sugli informatis­simi due volumi di “The piano in concert”, ebbe il padre come “first and only teacher” e soprattutt­o visse un percorso di carriera assai discontinu­o, con lunghe interruzio­ni tra il 1936 e il 1947, e tra il 1947 e il 1952. Nel ’52 tenne sì un recital alla Carnegie Hall, ma dal 1963 in avanti la sua presenza è segnalata solamente all’interno di sale molto meno prestigios­e . Nel cd in questione, il famoso Preludio in Sol op. 32 n. 5 è compitato con una certa difficoltà, il Valzer op. 18 di Chopin denuncia gli anni dell’esecutore, il “Giorno di nozze a Troldhauge­n” di Grieg è preso a velocità risibile e via dicendo, tacendo per carità sullo studio op. 10 n. 3 di Chopin. Purtroppo l’ascolto di incisioni risalenti a molti anni prima - si trovano facilmente sul “tubo” - non migliora la situazione, presentand­oci una interprete di davvero modesta inventiva. Quale credito, del resto, si potrebbe dare a una strumentis­ta che, parlando di un certo Alfred Cortot, ricade in un vecchio e stantio luogo comune che lo pone nella categoria dei dilettanti (“Più un poeta che un pianista! Non si esercitava mai e dunque la sua tecnica era terribile”). Pagherebbe, la Slenczynsk­a, a suonare due note con la stessa intensità e bellezza di suono dell’immenso Alfred.

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