Classic Voice

Canto e DIRIGO

Juan Diego Flórez si sdoppia per il Rossini Opera Festival: in scena per Comte Ory e in ufficio come nuovo direttore artistico. “A Pesaro funziona tutto. La vera sfida è mantenersi al top. E la Cina è vicina...”

- DI LUCA BACCOLINI

Aparte Stendhal, che nella sua biografia rossiniana collocò Pesaro “sul golfo di Venezia”, tutti gli stranieri hanno capito dove trovare il loro Eden operistico estivo. Il Covid ha un po’ rallentato l’afflusso dall’estero (dai due terzi di presenza fissa si è passati al 52% del 2021), ma quest’anno tutti gli indizi sembrano fa presagire il ritorno dei tempi d’oro. Obbligator­io pensare positivo, da queste parti, perché nel 2024 Pesaro sarà capitale italiana della cultura. Il Festival - una macchina che nel 2011 muoveva già un volano da 10 milioni, praticamen­te sette euro di ritorno economico sul territorio per ogni euro investito - ne sarà il fiore all’occhiello. Lo sa bene Juan Diego Flórez, che da quest’anno non darà alla kermesse solo la sua voce nel Comte Ory ma pure il ruolo di direttore artistico. Consacrato al Rossini Opera Festival, il tenore peruviano ha passato più di metà della sua vita artistica tra l’Adriatic Arena e il Teatro Rossini. Quasi naturale che il sovrintend­ente del Festival Ernesto Palacio, suo mentore, gli abbia chiesto di assumere un compito paragonabi­le a quello di Cecilia Bartoli al Festival di Pentecoste di Salisburgo. Ufficio e palcosceni­co nel segno di Rossini.

Flórez, com’è cambiato il Festival da quando ci ha messo piede per la prima volta nel 1996?

“Sicurament­e è cambiata, e in meglio, la qualità dei cantanti: questo grazie al Festival ma anche grazie all’attività dell’Accademia rossiniana, che garantisce un vivaio di voci di altissimo livello. Il Rof ormai ha influenzat­o in tutto il

mondo il modo in cui si esegue Rossini. Ricordo bene come si eseguiva molti anni fa all’estero. Recentemen­te, dopo un Barbiere a Vienna, mi è stata detta questa frase emblematic­a: ‘Il cast era proprio da Rossini Opera Festival’”.

Dove si pescano oggi i talenti rossiniani?

“L’Europa resta una fucina importanti­ssima. Non solo in Italia. Vedo molti spagnoli, ma ultimament­e anche paesi lontani come Sudafrica e America, sono entrati stabilment­e nel giro. Per non parlare della Russia e dell’Est Europa”.

Lei invece viene da Lima, come Ernesto Palacio. Coincidenz­a?

O esiste una “scuola” peruviana?

“Forse il tipo di voce ‘media’ dei peruviani è un buon presuppost­o di partenza. In Perù si parla tendenzial­mente con voce alta e acuta. Se si cammina per le strade di Lima lo si può capire facilmente. La tradizione peruviana ha una lunga storia, e non solo legata a Rossini. Basti pensare al grande tenore Alejandro Granda, che cantò con Toscanini in un repertorio davvero molto spinto e ampio. Lui, Alva e Palacio andarono a lezione con la Signora Rosa Mercedes Ayarza de Morales compositri­ce e ricercatri­ce di musica popolare peruviana. E per consiglio suo Ernesto Palacio, che considero il mio vero mentore, andò a studiare con Granda. Siamo tutti collegati da un filo rosso”.

Ci dica di Palacio.

“Quando ho conosciuto Palacio avevo 21 anni e stavo già studiando a Philadelph­ia. Ero rientrato in Perù per le vacanze e da lì non ci siamo più separati. Lui ha davvero fatto tutto il possibile perché io facessi carriera. Da un certo punto di vista è stato più di un maestro, perché il suo insegnamen­to avveniva col canto e nel canto, mettendomi nelle condizioni di migliorare me stesso, facendomi ascoltare in rapporto con il corpo, chiedendom­i sempre ‘come ti sei sentito ora?’, ‘cosa faresti per fare meglio’?”.

Ora lo affianca anche al Rossini Opera Festival. Obiettivi da direttore artistico?

“Innanzitut­to essere un degno continuato­re di un festival che è andato sempre in crescendo in oltre 40 anni. Vorrei dare il mio contributo dal punto di vista artistico perché sento che lo posso fare, conoscendo bene l’ambiente ed essendo in piena attività. Posso vedere gli artisti da vicino, capire quali sono più adatti al ruolo. Certo, lo facevo anche prima, segnalando nomi promettent­i alla direzione. Ora lo farò con ancora più ragioni. Mi piace molto lavorare con i giovani. A Pesaro l’Accademia è la linfa del Festival. Forse è la scuola che ha prodotto il maggior numero di cantanti affermati che conosco. Dura pochi giorni, ma sufficient­i a lasciare un’impronta duratura”.

Ha pensato a un cambio di format? Magari allungando la durata del Festival?

“Ho tante idee ma il formato sarà sempre quello. Non sono per i cambiament­i drastici. Quando i lavori saranno finiti andremo, anzi torneremo, al Palazzetto dello Sport. Il rapporto con la città è importante, la gente si trova bene qui, c’è un’atmosfera bellissima, conviviale e internazio­nale. Sicurament­e faremo tournée per portare il più possibile Rossini nel mondo. È impression­ante vedere come il belcanto rossiniano piaccia ovunque. La Cina, per esempio, è un orizzonte molto interessan­te”.

Come si orienterà sulle scelte dei registi?

“La regia in Rossini è fondamenta­le. Ovviamente cercheremo di tenere altissimo lo standard, tornando ai nomi che ci hanno dato soddisfazi­one ma restando aggiornati anche sui giovani nuovi registi. Il Rossini serio ha bisogno di grandi registi, perché le proporzion­i allargate implicano più cose da dire, senza però eccedere. Attenzione: io non sono per riempire a tutti i costi il palcosceni­co. Bisogna lasciar godere il pubblico, e consentirg­li di immaginare. Opere come Semiramide, per esempio, hanno arie lunghissim­e, che vanno dosate con cura”.

Lei canterà Le Comte Ory, forse uno dei suoi cavalli di battaglia?

“Forse è Barbiere il mio ‘figlio’ preferito, di sicuro quello che ho cantato di più in assoluto, ma anche Comte Ory è un’opera che amo tantissimo, con parti molto acute per me e un’orchestraz­ione impression­ante, quasi già da Guillaume Tell. Penso che sarà una produzione bellissima”.

Qual è il criterio che orienta l’alternarsi delle opere al Rof?

“Le variabili principali sono il direttore e gli interpreti a disposizio­ne, ma conta molto anche il tempo che ci separa dall’ultima produzione di un titolo”.

Guillaume Tell è comparso solo due volte: 1995 e 2013. Ne arriverà a breve un altro?

“Forse sì. Ma anche Cenerentol­a manca da un po’”. Sul palcosceni­co l’abbiamo appena sentita alla Scala, dove ha concesso il record di bis: dieci, per chi ha contato bene. La sua carriera dove la sta portando?

“Mi sto godendo i frutti di tante ‘seconde volte’, che sono quasi sempre meglio dei debutti. Ho messo in fila Roméo et Juliette, Werther, Faust, Contes d’Hoffmann, Bohème. E poi Traviata per la terza volta. Ora preferisco cantare opere delle quali sono sicuro ci sarà una ripresa”.

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ?? Flórez al Rof: dall’alto a sinistra in Matilde di Shabran (2012), Ricciardo e Zoraide (2018) e Guillaume Tell (2013)
Flórez al Rof: dall’alto a sinistra in Matilde di Shabran (2012), Ricciardo e Zoraide (2018) e Guillaume Tell (2013)
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy