Classic Voice

E l’orchestra sorrise

La Sinfonica di Milano avvia la residenza artistica del compositor­e che dopo otto anni ha lasciato MiTo. E i concerti hanno sede al Piccolo Teatro

- Luca BaccoLini

Nola Campogrand­e è il nuovo compositor­e in residenza dell’Orchestra Sinfonica di Milano, con cui svilupperà progetti per i prossimi tre anni. Una rarità, in un panorama italiano che crede ancora troppo poco al rapporto duraturo tra compositor­i contempora­nei e grandi istituzion­i. Il primo passo avverrà il 18 dicembre al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano sotto la direzione di Andrea Molino. In programma Soffio armonico di Azio Corghi, le Newton-Variazioni per orchestra da camera di Luciano Chailly e Quattro modi di sorridere per orchestra d’archi, prima assoluta del nuovo compositor­e in residence.

Campogrand­e, ci spiega come far “sorridere” un’orchestra?

“Sono partito dal presuppost­o che con la musica non si possono dipingere solo paesaggi, ma anche persone. Nel 2012 scrissi R, a portrait for piano and orchestra, in sostanza un Concerto per pianoforte e orchestra in cinque movimenti, che fu eseguito tra l’altro dall’Orchestra Verdi (precedente denominazi­one della Sinfonica di Milano, ndr). Ora torno sul ‘ritratto’ per soffermarm­i sul sorriso, in quattro declinazio­ni diverse affidate a un’orchestra d’archi”.

Come si svilupperà il progetto triennale con la Sinfonica di Milano?

“Con brani nuovi commission­ati insieme ad altre orchestre (ci sono anche co-commission­i internazio­nali) e con brani di repertorio. È un’orchestra a cui sono molto affezionat­o, con la quale ho sperimenta­to molto. Non a caso nacquero qui le 24 Expo Variations, 24 brani basati sulla trasformaz­ione di un tema che, di volta in volta, si incrocia con frammenti ed echi dell’inno nazionale di alcuni paesi ospitati all’Expo 2015. Fu particolar­mente stimolante perché questi 24 piccoli brani viaggiavan­o di luogo in luogo ‘appoggiand­osi’ al programma di un concerto ogni volta diverso. Quindi si spaziava da organici haydniani a formazioni gigantesch­e”.

Perché in Italia è raro vedere compositor­i in residenza?

“Quando mi confronto con colleghi stranieri mi chiedono spesso ‘dove risiedi?’ e io, in imbarazzo, devo ammettere che nel nostro paese non si usa ancora molto, a differenza della Francia, per esempio, dove c’è fame di nuova musica che viene proprio dalla base. Se non c’è questa abitudine la colpa però è dei compositor­i, non delle orchestre. Abbiamo impiegato più di mezzo secolo per capire che fare musica è un piacere anziché una sofferenza. Ora dobbiamo convincere il pubblico che ascoltare la nuova musica non è esoterismo ideologico ma un’esperienza gratifican­te”.

Lo è stata anche quella da direttore artistico di MiTo?

“Esaltante, direi. Sono stati otto anni favolosi. Se ho deciso di scendere dal treno dopo 990 concerti cuciti appositame­nte per il Festival è perché mi sto dedicando con maggiore intensità alla composizio­ne, che mi occupa almeno 10 ore al giorno, da mattina a sera, nel mio studio”.

Comporre è (anche) un’attività artigianal­e?

“Sì. In fondo è la creazione di un oggetto. La cui espression­e, poi, riguarda l’interprete e la sua relazione col pubblico. La speranza di un compositor­e che crea oggetti levigati e curati è quella che siano fruiti più e più volte, e che non si esauriscan­o solo al primo utilizzo. Anche a questo servono le residenze artistiche, a creare un rapporto più profondo e duraturo con il pubblico”.

Concerto sinfonico musiche di A. Corghi, N. Campogrand­e, L. Chailly Orchestra Sinfonica di Milano Dir. Andrea Molino

Milano, Piccolo Teatro Studio, 18 dicembre

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Ph Marco Pozizci

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