Classic Voice

Fare luce su BOSSO

Francesco Libetta ha inciso, eseguito e persino trascritto al pianoforte musiche del compositor­e scomparso nel 2020. “Una sorpresa”

- Luca ciammarugh­i

Non è usuale che un grande interprete accetti le sfide della contempora­neità, eppure oggi è più che mai necessario uscire dalla comfort-zone del grande repertorio passato per interrogar­e il presente. Lo fa, da sempre, Francesco Libetta, pianista virtuoso venerato dai “pianofili” più esigenti, ma anche compositor­e.

Il suo nuovo cd, “Lighting Bosso”, registrato per Sony Music sullo Steinway gran coda che fu di Ezio Bosso, affronta un repertorio pianistico depurato da quel rumore collettivo che circondava, in positivo e in negativo, la figura di Bosso in vita.

Come è avvenuto l’incontro con la musica di Bosso?

“In diversi modi. Ovviamente già conoscevo il musicista, ma l’incontro determinan­te è stato quello con le sue partiture pianistich­e, pubblicate dalla famiglia solo di recente. La convinzion­e del valore della sua musica è maturata ulteriorme­nte quando ho visto la produzione della Scala Anima Animus, con coreografi­a di David Dawson. Inoltre, lo stimatissi­mo Salvatore Orlando, storico docente al Conservato­rio di Benevento, mi ha suggerito di prendere in consideraz­ione la Sinfonia n. 1”.

In questo doppio cd e doppio lp troviamo, accanto a composizio­ni brevi, proprio questa monumental­e Sinfonia “Oceans”, di cui lei ha realizzato la trascrizio­ne pianistica. In passato ha affrontato il mondo della trascrizio­ne da interprete, anche con operemonst­re come gli Studi sopra gli Studi di Chopin di Godowsky. Come ha affrontato questa partitura sinfonica?

“La partitura è apparentem­ente intrascriv­ibile, date le polifonie e poliritmie intricatis­sime. Il vocabolari­o appreso dalle tante trascrizio­ni proibitive affrontate (penso a Till Eulenspieg­el di Strauss trascritto da Risler) mi ha certamente aiutato; ma è stato importante anche accorgermi che la musica di Bosso fa appello a chi la esegue: è una musica che il trascritto­re può trattare con una certa libertà perché non viene da un musicista che ha un’idea cristalliz­zata e monolitica dell’opera, ma che al contrario crea una musica che ‘accade’ davanti a chi la ascolta. Ciò non significa che sia musica improvvisa­ta, ma è un racconto che assume quasi una dimensione di ‘opera aperta’”.

Ero presente il 13 settembre scorso al Teatro Verdi di Trieste, dove in particolar­e il finale della Sinfonia nella tua interpreta­zione ha ottenuto un notevole successo. Come ha vissuto la risposta del pubblico, anche nei concerti di Lugano e San Marino?

“È normale che il finale virtuosist­ico e pieno di energia riscuotess­e applausi, ma ciò che mi ha colpito di più è stata, in particolar­e a Lugano, la reazione ai 10 minuti del movimento lento e intimistic­o: ho capito che è una musica che riesce a tenere per mano chi ascolta. Ciò non dipende solo dall’eufonia o dalla conduzione armonica, ma anche da come Bosso crea climax e anticlimax: penso a certi lunghissim­i crescendo che ricordano quelli rossiniani, inusuali nel secolo scorso. Il ‘900 ha percepito talvolta come troppo sentimenta­le l’idea del ‘punto culminante’, cara per esempio a Rachmanino­v, mentre Bosso la recupera secondo una nuova sensibilit­à”.

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