TRISTANO a parole
In un racconto Thomas Mann incontra ancora una volta l’opera di Wagner
In nessuno scrittore la musica ha assunto quel ruolo capitale che avrà in tutta l’opera di Thomas Mann: un’assoluta identificazione. E l’oggetto di questo processo è Wagner, che nei suoi scritti è, appunto, la sola musica. Ma l’accezione in cui l’arte di Wagner viene accolta e inserita come elemento portante della narrazione, è quella dì malattia, di principio devastante della sana volontà di vivere, di prefigurazione di morte: e questo fin dal giovanile racconto Luisella e dal grande romanzo I Buddenbrook, per continuare col racconto Tristano, con La montagna incantata, fino al Doktor Faustus il cui protagonista, appunto un musicista, stringe un patto con il demonio al fine di comporre una serie dì opere immortali. Non si può passare sotto silenzio che un’analoga funzione di malattia mortale la musica, e proprio quella dì Wagner, l’aveva ampiamente sviluppata nel romanzo Trionfo della morte di D’Annunzio, che è del 1894 e dunque precede tutti gli scritti mannìani in cui il principio viene prefigurato e poi sviluppato. Tuttavia, prima di arrivare al Tristano, che ha quasi la funzione di apologo sui rapporti Mann/Wagner (approfonditi più tardi in due saggi critici dello scrittore sul musicista, di straordinario acume), varrà ricordare che nel sano ceppo della famiglia borghese dei Buddenbrook colei che immette un principio distruttore è una donna, una donna misteriosa, bellissima e musicista, e che l’infelice, ridicolo marito di Luisella stramazzerà cantando in una festa una grottesca canzone composta da un musicista alla moda. In Tristano, scritto nel 1903, appena due anni dal grande romanzo sulla “decadenza di una famiglia”, vengono posti di fronte due mondi: quello sano, vitalistico e grossolano del ricco commerciante Klöterjahn, e quello estenuato, “decadente” della sua consorte che, sofferente di una lieve affezione alla trachea, viene portata nel sanatorio “La quiete”, anche per evitare il pericolo che il suo male possa contagiare il robusto figlioletto, un “innamorato della vita” come il padre (difficile sfuggire alla suggestione che questa figura di borghese benestante e terreno abbia potuto offrire più di uno spunto per il barone Ochs, ìn quello squisito ripensamento di Tristano e Isotta che è Il Cavaliere della rosa di Hugo von Hofmannsthal). Nel sanatorio - luogo deputato del codice manniano, che ritornerà come cornice nella Montagna incantata - si matura la tragedia: l’incontro fra la fragile signora e un singolare tipo di letterato fallito, che si nutre grottescamente di tutta la paccottiglia floreale e decadente. E sarà da una fatale esecuzione musicale che la malattia della signora Klöterjahn precipiterà fino a condurla alla morte. In un salotto di “La quiete” i due si siedono al pianoforte: ella, contravvenendo a una disposizione dei medici, comincia a suonare: Notturni di Chopin, secondo le più consuete abitudini della buona borghesia guglielmina e umbertina; poi, la folgorazione: il signor Spinell scopre tra i molti spartiti uno, di cui non dice il titolo; era “pallidissimo, le labbra gli tremavano”. E la signora comincia a leggere il preludio, e dalla bellissima parafrasi che Mann compie comprendiamo senza dubbio che si tratta di Tristano e Isotta; poi, presi come da una volontà inarrestabile di conoscere, i due leggono il duetto d’amore e la morte di Isotta. Due giorni dopo, la signora ha una grave crisi, e infine: “era seduta tranquilla nel letto e canticchiava un motivo di musica, e tutt’a un tratto, Dio mio... ( ... ) È morta”. Non sarà difficile individuare nella coppia di irrealizzati amanti (il letterato e Gabriella Klöterjahn) contrapposta al vigoroso commerciante una sarcastica rilettura dei triangolo Tristano lsotta Marco; tuttavia il tristanismo di questo racconto ci appare più sotterraneo ed anche più nobile: è la volontà di annientamento, il culto della Notte che dissolve le singole individualità e ne fa un’unità superiore, la passione amorosa come forza devastante, di morte che Thomas Mann assume da Wagner, travolgendo il sublime respiro epico in una borghese, quasi ridicola storia fra personaggi di modesta portata. Il primo documento, questo racconto, di quel rapporto di odio/amore che Mann, sulla traccia di Nietzsche, nutrì per tutta la vita con il cantore di Tristano e che tornerà a palesarsi in altri scritti, ad esempio nel racconto Sangue welsungo, che narra il consumarsi di una relazione incestuosa fra due fratelli, stimolata e scatenatasi durante una rappresentazione della Walkyria, finché si giunge all’estremo romanzo L’eletto, ove il modello ideale è da ricercarsi in alcuni momenti del Parsifal. Ancora una volta, i destini di Thomas Mann e di Wagner, tornavano ad intrecciarsi.