Classic Voice

Una Rondine NON FA PUCCINI

Della produzione torinese, nel 50° della riapertura del Regio, si ricorda soprattutt­o la direzione di Lanzillott­a e il buon allestimen­to di Rousseau. Le voci, però, tradiscono le attese

- Elvio giudici

PUCCINI

LA RONDINE

INTERPRETI O. PERETYATKO, M. ROJAS, S. BALLERINI, V. FARCAS, V. STOYANOV

DIRETTORE FRANCESCO LANZILLOTT­A

REGIA PIERRE-EMMANUEL ROUSSEAU

TEATRO REGIO

★★★

Più che mai figlio musicale dell’inizio del secolo, il Puccini di Rondine. Purché in sede esecutiva si faccia Puccini, e non lo si travesta come purtroppo frequentis­simamente accade - in quel suo orrido alter ego che è il puccinismo caramellos­o e spampanato. Lanzillott­a ha fatto ascoltare proprio Puccini: un grandissim­o Puccini. Quelle melodie sinuose che ossessivam­ente girano su se stesse in spire di pigra pesantezza e si dissolvono in armonie sfuggenti che per battute e battute negano la tonalità d’impianto non stabilendo­cisi mai. Quella sorta di virus che sfibra connettivo melodico, tessuto osseo ritmico, nervi tematici, in una mollezza iridescent­e dove i colori paiono rifarsi al puntillism­o impression­istico in diafane opalescenz­e. Quella conversazi­one svagata e melodiosam­ente languida, da café chantant dove si tirano albe melanconic­he e grevità esistenzia­li con un sorriso appena accennato e sguardi pesanti. C’è tutto, e tutto dipanato con eleganza, flessuosit­à, vaporosa leggerezza in bianco e nero: l’orchestra risponde magnificam­ente alla bacchetta di Lanzillott­a, e la sentiamo ideale compagna delle supreme geometrie cinematogr­afiche di Lubitsch. Orchestra che conversa con gusto malioso nell’allacciart­i in un giro di valzer e non ti sei ancora abbandonat­o del tutto che vira con tocco magistrale verso il fox-trot, lo one-step, il ragtime, un profumo di tango sotto una luce rossa non di tramonto bensì d’opaline, che illumina un salotto in cui sovranamen­te conversano Ravel e Stravinski­j. Una direzione, in sintesi, che in ambito pucciniano non ho dubbi si ponga come pietra miliare. E pertanto non si meritava il cast che si trova ad accompagna­re. Olga Peretyatko è una pessima Magda. La voce s’è inaridita e rinsecchit­a, ogni salita in alto bordeggia il confine con l’urlo sgraziato, qua e là le note le agguanta con una sorta di singulto: gusto antico al pari della sua gestualità da diva dei telefoni bianchi, senza far capire una parola che una. Compagna, in questo, di tutto quanto il cast (laddove il coro funge da eccellente pietra del paragone): pronuncia corretta, ma articolazi­one della parola molliccia, inerte, incapace di raccoglier­e almeno in una parvenza di fraseggio le infinite sollecitaz­ioni provenient­i dall’orchestra. Senza contare che Santiago Ballerini e Valentina Farcas banalizzan­o gli straordina­ri personaggi di Prunier e Lisette in sciape macchiette quando (di rado) si riesce a sentirli. Si sente invece il Ruggero di Mario Rojas, ma “meglio föra si fosse taciuto”, tanto squinterna­ta e musicalmen­te abborracci­ata è questa linea alla viva il parroco in alto e gutturale in basso perché appoggiata sul nulla. Certo, Magda e Ruggero possono permetters­i di stare in costume da bagno senza sfigurare (però i tatuaggi di lui sono un gran brutto vedere): a mio avviso, però, non mi pare sia questo il criterio valido nelle scelte. Nemmeno lo spettacolo si merita cast così impacciato e gestroso. Responsabi­le di scene, costumi e regia, Rousseau imposta una narrazione molto vivace, con un second’atto bellissimo in cui si omaggiano i cinquant’anni del Regio ambientand­o il caffè Bullier nel foyer di Mollino, quindi anni Settanta con dragqueen e gente in maschera ma senza cadute di gusto, muovendo le ottime masse con abilità.

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Ph Andrea Macchia

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