C’è del buono in FACCIO
L’opera del direttore stimato da Verdi riemerge in prima moderna a Verona
Faccio aMleto
interpreti A. Villari, G. Fiume, M. Torbidoni, F. Leone, A. Abis, D. Salerno
direttore Giuseppe Grazioli
regia Paolo Valerio
teatro Filarmonico
Il nome del veronese Franco Faccio è rimasto nella storia come direttore d’orchestra (stimatissimo da Verdi), ma il suo debutto era stato come operista, con I profughi fiamminghi, nel 1863, e con Amleto, su libretto dell’amico Arrigo Boito, ritirato definitivamente dopo un fiasco alla Scala nel 1871. Da allora, l’opera scespiriana era rimasta a dormire, e bene ha fatto il teatro di Verona a riproporre questo frutto della stagione scapigliata, in cui Boito ha ritagliato la grande tragedia rimodellandola secondo i principi dell’opera lirica ma mantenendo i momenti drammatici-chiave (l’assolo di Amleto “Essere o non essere”, la “pazzia” di Ofelia, lo scontro di Amleto con la madre Gertrude, la scena dei becchini che ritrovano la testa di Yorick). Dettato poetico prezioso ma talvolta ridondante, quello del libretto di Boito; scelte musicali, quelle di Faccio, efficaci ma non originalissime, che si mantengono fedeli ai modelli ottocenteschi (scene d’insieme che sanno un po’ di grand opéra, come la festa del primo atto, o il funerale di Ofelia, la pagina più commossa dell’opera), prediligendo forme chiuse e una cantabilità in cui si colgono echi di Verdi e qualcosa di francese. La regia era pensata da Paolo Valerio in un ambiente atemporale, con proiezioni che facevano vedere molte pagine dell’autografo di Faccio; la direzione di Giuseppe Grazioli ha ben evidenziato la varietà delle tensioni espressive. Il cast, complessivamente eccellente, ha trovato in Angelo Villari un Amleto di bello spessore, cui forse si potrebbe richiedere qualche inflessione più lirica e variata; e in Gilda Fiume una incantevole Ofelia dagli accenti lirici e commossi, e decisamente splendida la Gertrude drammaticamente tratteggiata da Marta Torbidoni.