SUDORE E FATICA
si mischiano dando vita all’odore acre tipico delle palestre di tutto il mondo. Si entra da una porticina che obbliga i più ad abbassare la testa, per rialzarla in un altro mondo tra esercizi di yoga millenari e ritratti di improbabili body builder.
si pratica da sempre o quasi il kushti, una forma di lotta tradizionale nata dalla “crasi” tra malla-yuddha originario dell’India e il persiano varzesh-bastani. Una sorta di wrestling che si combatte, quasi nudi, in un fango abbastanza morbido da attutire le cadute, ma non così vischioso da ostacolare i movimenti. Richiama usanze e una disciplina antica storicamente sostenuta dai maharaja e finanziata dalle istituzioni locali. Come per molti altri sport antichi (alcune fonti fanno risalire il malla-yuddha a oltre 5mila anni fa), quella di praticarlo è una scelta di vita comportando una dedizione assoluta. Nei secoli scorsi, individuato un guru, la famiglia gli affidava il figlio prescelto che veniva allenato secondo una ferrea prassi del tutto incompatibile con lo svolgimento di una vita “moderna”, e quasi inumana in termini di sforzo. D’altronde svegliarsi alle 3 di notte, fare 4mila tra squat e flessioni, correre 10 km, nuotare e fare sollevamento pesi, e ancora allenarsi e allenarsi combattendo match dopo match fino alle 8 di sera sembra davvero un po’ troppo. Oggi alcune cose sono però cambiate, da qualche anno i combattimenti nel fango sono un elemento sempre più folkloristico (occorrono quasi due giorni per la preparazione del campo di gara...), e molte palestre sono state invitate a sostituire il fango con materassi. Il fascino del combattimento tradizionale e di tutta la sua ritualità va scomparendo a beneficio di un approccio più mediatico e remunerativo, dove il lato spirituale del kushti è sostituito da messe in scena spettacolari e roboanti.