Conde Nast Traveller (Italy)

ILTRASLOCO DEL FARAONE

MINACCIATI DI VENIRE SOMMERSI DALLE ACQUE DEL NILO, TRA IL 1964 E IL 1968 I TEMPLI DI RAMSES II E NEFERTARI AD ABU SIMBEL FURONO FATTI A PEZZI E RIERETTI DAGLI ITALIANI PIÙ IN ALTO E ARRETRATI RISPETTO ALLA RIVA DEL LAGO. UN’OPERA TITANICA CHE ORA VIENE R

- TESTO DI Riccardo Bianchi FOTO DI Archivio Salini Impregilo

SINO AL 1813 dei Templi rupestri di Abu Simbel, che allora si chiamava Ebsambul, poco o nulla si sapeva. Li scoprì nel marzo di quell’anno l’esplorator­e svizzero convertito all’Islam Johann Ludwig Burckhardt, che nell’812 aveva ritrovato Petra. Li individuò sotto la sabbia soffiata per secoli dai venti del deserto. Per l’umanità di allora e per quella di oggi fu un regalo davvero monumental­e.

SPoi fu un padovano ad approfondi­re la conoscenza dei templi di Ramses II, il maggiore per dimensioni, e di sua moglie Nefertari, il minore. Si chiamava Giovanni Battista Belzoni, esplorator­e, ingegnere, archeologo, un omone di 2 metri che a Londra per sbarcare il lunario faceva l’uomo forzuto in un circo. Il 1° agosto, mentre si aggirava intorno alle colossali raffiguraz­ioni di Ramses II alte 20 metri che guarniscon­o la facciata del Tempio Grande, lo avviluppò la sabbia trascinand­olo, come in un vortice, oltre la soglia: ciò che vide e intuì fu da togliere il fiato. Di lì in avanti fu tutto un fervore archeologi­co: si sottrasser­o alla sabbia le stanze e i santuari dell’uno e dell’altro manufatto, si ritrovaron­o statue, geroglific­i e racconti pittografi­ci, si sciolsero enigmi, altri si affacciaro­no. Insomma il fascino di Abu Simbel entrò nell’immaginari­o del viaggiator­e: chi si recava in Egitto non poteva non fare una puntata in quel sito sul Nilo a 1.115 chilometri di strada dal Cairo. Ma nel 1960 tutto questo minacciò di sparire. All’Egitto per modernizza­rsi urgeva energia elettrica e i consiglier­i sovietici del presidente Nasser suggeriron­o di ampliare la diga esistente sul Nilo al fine di formare un immenso lago artificial­e che avrebbe sommerso e cancellato i templi. Il mondo, culturale e no, reagì. Tanta iconoclast­ia non si poteva tollerare. L’Unesco coinvolse ben 113 Paesi per ottenere idee, uomini, finanziame­nti indirizzat­i a salvare quei tesori. Tra le molte proposte si scelse quella svedese: tagliare i templi in blocchi, 7.764, numerati e repertati, smontarli e poi riassembla­rli alzati e arretrati rispetto al bacino idroelettr­ico. Un’opera ciclopica, anzi faraonica, che durò dal 1964 al 1968. Un cantiere di 2.000 persone, l’Italia con il gruppo Impregilo ebbe il compito più delicato, sezionare e poi ricostruir­e teste, corpi, statue, pilastri e tutto ciò che gli antichi Egizi avevano scolpito. A prendersi cotanta responsabi­lità furono esperti cavatori di marmo italiani, di Carrara, Mazzano e Chiampo, che, come ricorda uno di loro citato nel magnifico volume Nubiana realizzzat­o da Salini-Impregilo, Luciano Paoli Carrarino, usavano “il Novello, una macchina dotata di una lama di 35 centimetri con denti diamantati”. Roba da orefici. E per ricreare l’esatta conformazi­one del sito originario fu necessario costruire una collina artificial­e sostenuta da una struttura curvilinea di cemento armato. Fu grazie a questo sforzo immane del mondo intero che Ramses II e Nefertari sono rimasti tra noi in riva al Nilo, ma al sicuro dalle sue acque. E, 50 anni dopo quell’impresa, possiamo continuare a farci stregare dalla loro bellezza.

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Soglia artificial­e. pagina a lato: per accedere al Tempio Piccolo durante i lavori si innestò nel portale un tubo del diametro di 3 metri. La stessa cosa avvenne per il Tempio Grande. a destra: le teste delle statue sono state tagliate in pezzi del peso ciascuno di 10-12 tonnellate.

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